venerdì 11 aprile 2008

Ottusità

Quanto sto per raccontare non vuole essere denigratorio né offensivo in alcun modo verso coloro i quali hanno partecipato con me in un' operazione di servizio la cui conclusione è stata oggetto di scherzi e critiche da parte dei miei colleghi per il modo in cui è stata condotta provocandomi un senso di inadeguatezza e di vergogna. Si tratta solo di raccontare un episodio ove è emersa la mia inesperienza e mancanza di attaccamento professionale in un episodio accaduto molti anni addietro.

Col senno di poi come spesso accade riconosco che avrei dovuto gestire meglio la cosa, ma invece all'epoca mi sfuggì di mano causando appunto ridicolo per il comportamento adottato.

In effetti ripensando all'accaduto e il modo in cui fu portata a termine oggi riesco a ridere anch'io, ma non in quel momento.

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto i nomi che indicherò sono frutto della mia fantasia per rispetto della privacy altrui.

Mi trovavo da poco tempo in quella sede a svolgere la mia attività che da tanto tempo desideravo di farne parte. Purtroppo il primo impatto non fu tra i migliori. Ero convinto di andare a svolgere incarichi di una certa rilevanza, lavorare con personale esperto nel controllo fiscale alle aziende e alle attività commerciali, così da acquisire esperienza in quel settore ma inizialmente non fu così.

Nei posti precedenti in cui ero stato avevo anche svolto questo tipo di controlli ma non con la tecnica e con il personale qualificato come avrei potuto trovare in questa sede. Pensavo che dopo dieci anni di esperienza di servizio sarebbe stata presa dai superiori l' eventualità che io potessi essere aggregato in qualche sezione che si occupava di questi controlli.

Purtroppo le mie aspettative furono disattese e dovetti con mio grande rammarico incominciare ancora una volta a svolgere il servizio anti contrabbando con tutte le implicazioni ad esso connesse: uscire in qualsiasi ora del giorno e della notte, prendere i pasti ad orari assurdi e cose del genere. Avevo la nausea di tutto questo e molto volentieri avrei cambiato tipo di attività, ma per il momento quella era stata la mia assegnazione.

Avevo la speranza che dopo il prescritto anno di permanenza in quella sezione mi avrebbero avvicendato in qualche posto dove avrei potuto imparare altre cose utili ed acquisire maggiore formazione nel campo specifico mirato ai controlli alle aziende, alle società e alle attività economico-commerciali in genere per il rispetto delle leggi fiscali e non.

I primi periodi svolti quindi per me non furono certo esaltanti.

La sezione cui ero stato assegnato era molto attiva sotto l'aspetto operativo ma critica per tutto quanto concerneva i rapporti col personale a cominciare dal comandante e per finire tra di noi colleghi.

Essa si occupava di controlli di vario genere: anti contrabbando antidroga, controllo sugli oli minerali, sugli alcoli, e tutto quanto era sottoposto al pagamento dell'imposta di fabbricazione.

Il comandante di questa sezione teneva tutti col fiato sul collo e secondo la sua logica dovevamo essere sempre disponibili in qualsiasi momento della giornata. A volte il suo comportamento era davvero stravagante, non gli importava che tu avessi già compiuto otto ore di servizio e che avevi diritto al tuo riposo, se lui decideva che si doveva intervenire in qualche parte della città o della provincia non sentiva ragioni di alcun genere, bisognava assecondarlo, pena ritorsioni di ogni genere che non sto qui a descrivere.

Faceva di tutto per alimentare un clima di conflittualità e di competitività tra il personale. Quotidianamente incitava i suoi dipendenti affinché effettuassero sempre dei risultati di servizio in modo da poter ricevere gratificazioni di qualsiasi tipo da parte dei suoi superiori. Sembrava che l'unico obiettivo della sua carriera fosse quello di ricevere quanti più “encomi” possibili a scapito anche della buona armonia tra i colleghi. Gli avevamo affibbiato il soprannome di “capitan sequestra”, proprio per la sua mania di porre sotto sequestro qualsiasi cosa avesse a che fare con irregolarità riscontrate nel corso dell'attività di servizio.

Io ero col morale a terra, nuovo del posto, assegnato ad un incarico che non mi piaceva, non conoscevo i miei colleghi, non sapevo quindi se potevo o meno confidare a loro i miei stati d'animo. Dovevo infatti stare attento ad esprimere dei commenti negativi, sia sulla sezione che sul modo di agire del responsabile di questa, al fine di evitare che qualcuno andasse a riferire delle mie critiche.

Ancora infatti non ero riuscito a capire di chi avrei potuto fidarmi. Avevo fiutato infatti che c'era qualche delatore che andava a riportare al comandante le lagnanze dei suoi dipendenti e questo per me era una cosa che non mi piaceva affatto. Gli spioni non mi erano mai andati a genio. Mi tenevo quindi tutto dentro nell'attesa di riuscire a farmi qualche amico sincero con il quale condividere le mie ansie.

Bene con questo clima e con questi stati d'animo quotidianamente affrontavo le avversità che si presentavano e un giorno di questi, non appena ero giunto all'ufficio della sezione per ricevere gli incarichi da svolgere per quella giornata il comandante mi chiama e mi affibbia l'ordine di servizio il cui contenuto era il seguente: “Minuta vendita nel quartiere vecchio della città”

Il significato di questo ordine era che avremmo dovuto recarci nel quartiere vecchio cittadino, sede di numerose attività illegali tra le quali lo spaccio minuto di sigarette di contrabbando e cercare di sequestrare questa merce . Mi disse: “”Devi uscire con l'appuntato Esposito (nome di fantasia). Fatevi un foglio di servizio con l'oggetto della Minuta Vendita e gli orari dovranno essere compatibili con l'eventuale smercio di queste sigarette.””

Non avrebbe potuto darmi peggiore incarico, infatti per me era deprimente, effettuare questo tipo di controllo che consisteva nell'andare a sequestrare quei pochi pacchetti di sigarette, ad individui, che per sbarcare il lunario, smerciavano agli angoli delle strade del vecchio quartiere cittadino. Pensavo: “Ma come?.. Dopo dieci anni di servizio, in parte trascorsi in reparti di confine come quello Svizzero ed Austriaco, dove l'attività prevalente era proprio quella anti contrabbando, ma svolta a livelli molto più interessanti di quello che stavo andando a fare dove i sequestri erano veramente importanti come scoprire vagoni ferroviari, autovetture, Tir, carichi di quella merce, mi trovo ora a contestare il pacchetto di sigarette magari ad una povera vecchietta che deve raggranellare qualche lira per sopravvivere.””

Ero veramente demotivato, sconsolato e con poca predisposizione ad agire ma dovevo farlo, gli ordini erano stati impartiti per questo tipo di lavoro.

Di diverso avviso invece era l'appuntato Esposito. Percepivo che lui faceva questo con passione più della mia. Pensavo tra me :””Evidentemente questo qua non ha fatto zone di confine e per lui svolgere questi servizi lo appaga più di me””. Per non urtare la sua suscettibilità o per fa pesare la mia esperienza nel settore tenni la bocca chiusa e lasciai parlare lui anche per capire meglio il soggetto che avevo di fronte in modo da regolarmi di conseguenza.

Lui era un tipo abbastanza singolare, sembrava avere addosso un entusiasmo particolare nell'andare a fare queste cose. Nel tragitto che dovevamo compiere per arrivare sul luogo del controllo non fece altro che parlare di come lui poteva andare a sequestrare la merce di contrabbando e di come lui si serviva di suoi confidenti che gli procuravano notizie utili allo scopo e dei suoi precedenti risultati di servizio, Io abbozzavo con il cenno del capo a quanto mi diceva, pensando a quello che io avevo fatto negli anni trascorsi in materia di sequestri. Questo qua si vantava tanto per aver sequestrato dei piccoli quantitativi, comunque io stavo in silenzio ed ascoltavo le sue parole, senza interromperlo.

Sostanzialmente non era un cattivo elemento, ma aveva una capacità raziocinante particolare. Il suo cruccio principale era quello della scarsa attenzione e considerazione che il comandante aveva verso di lui. Secondo il suo punto di vista non erano tenute buone le segnalazioni che lui dava in merito ad eventuali persone che erano sospette di trafficare in sigarette di contrabbando. Lamentava il fatto che il comandante sempre spronava il personale a portare elementi utili ai fini di eventuali risultati di servizio, ma che poi in pratica le sue segnalazioni non venivano mai prese sul serio e così lui si sentiva preso in giro.

A dir il vero, il soggetto era davvero particolare, come definirlo? Molto elastico mentalmente non lo era, se si impuntava sembrava un mulo e non retrocedeva di un millimetro nelle sue decisioni. Voleva fare quasi sempre di testa sua, non tenendo conto che lui rivestiva un grado inferiore e quindi doveva sempre sottostare a qualcun altro. Decisamente avevo capito che gli altri colleghi miei si guardavano bene di uscire in servizio con lui proprio a causa di questa sua scarsa elasticità.

Riuscire a fare un ragionamento con lui era molto arduo. Padre di famiglia con ben quattro o cinque figli, non ricordo bene, aveva un attaccamento ed un impegno particolare nel sequestrare le sigarette di contrabbando e quando ci riusciva si trasformava in altra persona talmente la foga che ci metteva.

Io ritengo ancora oggi che tale comportamento era dannoso per lo svolgimento del controllo perché anche se i quantitativi erano irrilevanti, secondo me, non bisognava esagerare nell'essere duri nei confronti di coloro i quali commettevano questi illeciti. Nel senso che il lavoro doveva essere interpretato con una certa dose di buon senso, comprensibilità, elasticità ma allo stesso tempo con efficacia e risolutezza.

Questa volta l'appuntato Esposito era stato assegnato con me in pattuglia e, mio malgrado, dovetti stare ad ascoltarlo in tutte le sue rimostranze.

Così conversando in questo modo eravamo giunti al quartiere da sottoporre al controllo quando ad un certo punto lui si ferma di scatto e mi dice: “”Ho intravisto “Scagliola” (altro nome di fantasia), uno che conosco e che è dedito al contrabbando di sigarette, è appena sceso dal furgoncino Ape... sta lì a 50 metri da noi””


Il furgoncino Ape, è quel veicolo a tre ruote con un piccolo cassone dietro la cabina di guida. Molto maneggevole specialmente in città dove ci sono stradine strette. Viene usato principalmente da artigiani, muratori o fruttivendoli per i loro piccoli trasporti.

Finito di dire questo l'appuntato si mette a correre in direzione di questa persona senza dare a me il tempo di riflettere sull'azione da fare. Lui dice: “”Muoviamoci prima che riesca a salire sul motofurgone...”” Riusciamo a raggiungerlo proprio mentre stava per mettere in moto il veicolo, lo fermiamo, ci qualifichiamo visto che eravamo in abiti civili e non in uniforme e gli chiediamo di esibire tutti i documenti riguardanti il veicolo. Lui ha come un attimo di smarrimento, tergiversa un poco, ma poi si convince ed esibisce quanto gli avevamo richiesto. Mentre io controllo questi documenti Esposito entra nella cabina di guida del furgoncino e rovistando sotto il sedile trova alcune stecche di sigarette di contrabbando.

Era evidente che la persona era stata colta in flagrante reato e per questo motivo noi avevamo la facoltà di sottoporre a sequestro il veicolo il quale era stato il mezzo per compiere l'atto illecito.

Ma ecco che qui accade una cosa incredibile, l'appuntato si avventa su di lui spingendolo contro il muro, con fare minaccioso e preso come da un raptus comincia a martellare il povero malcapitato di domande sulla provenienza della merce trovata in cabina con domande del tipo: “” Tu adesso mi devi dire dove hai preso questa roba, il luogo e il nome di chi te l'ha data.””

Lo Scagliola era ammutolito e sbiancato in volto, ricordo anche che era uno che zoppicava e non molto solido fisicamente.

Mi domando : “” Ma che sta facendo Esposito? E impazzito? Cosa sta combinando a questo povero malcapitato? Perché si sta comportando in questo modo? Devo farlo smettere subito, il responsabile del servizio sono io. ”” Allora prendo una decisione e gli dico: “” Senti non possiamo stare qui in mezzo alla strada con queste richieste, non vedi che la gente sta facendo capanello? La soluzione migliore è condurre lui e il suo “Ape” in caserma dove là possiamo lavorare tranquilli senza incuriosire la gente. Riesco a convincerlo... meno male...! ma sorge il problema di come disporci nel veicolo cosi' piccolo. Allora pur di riuscire ad andare via da quel luogo a me viene la brillante idea di dire all'appuntato di mettersi in cabina col proprietario e che io mi sarei messo nel vano posteriore del furgoncino. Scelta sbagliata la mia, infatti col senno di poi e ripensandoci avrei dovuto mettermi io nella cabina accanto al conducente, ma per la fretta di andare via da quel luogo decisi di fare in quel modo. Abbiamo attraversato la città in quella condizione, ad ogni curva io dovevo appoggiarmi ai lati del cassone per non essere sbalzato fuori dal furgoncino e cadere in mezzo alla strada, inutile le mie grida di andare piano, nessuno udiva nulla, la gente che ci vedeva transitare in quel modo era divertita e si chiedeva che cosa facessi io seduto in quel modo nel cassonetto.

Finalmente siamo giunti nel cortile della caserma in quel modo. I colleghi che ci videro arrivare in quelle condizioni non finivano più dallo sganassarsi dalle risate. Sembrava proprio una scena di un film di “Fantozzi”. Loro ridevano, ma io ero molto serio e corrucciato. L'appuntato come se nulla fosse accaduto, non gli era passato lontanamente nella sua mente che tutto questo era talmente così ridicolo al punto da mettere in secondo piano l'azione di servizio che avevamo compiuto. Per lui lo scopo era stato raggiunto, aveva portato in caserma un individuo che faceva contrabbando e secondo la sua idea questo atto avrebbe portato il comandante a complimentarsi con lui.

Ora viene da sorridere anche a me quando incontro qualche collega che mi rammenta quell'episodio, ma a quel tempo avevo un diavolo per capello. Mi rimproveravo infatti di non essere stato capace di gestire la cosa con più professionalità anche se non ero ben disposto ad affrontare quel tipo di servizio che tante volte avevo svolto nei precedenti reparti e che mal sopportavo di ripetere ancora in quella sede ove avevo riposto molte speranze di approfondimento in altri settori per poter allargare il campo delle mie esperienze.

martedì 1 aprile 2008

Ricordi

Ricordi.

Confine Italo-Svizzero.

Tanti anni sono trascorsi.

L'ordine di servizio arriva a notte inoltrata, l'incarico consiste in una perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando in genere, che può essere commesso dalla vicina Svizzera verso il suolo Italiano in vari luoghi della circoscrizione di nostra competenza.

In pattuglia con me ci sono il conduttore cinofilo e il suo cane Argo.

Il percorso che dobbiamo fare è abbastanza difficile, dobbiamo camminare lentamente senza fare rumore e al buio, in mezzo al bosco, su sentieri scoscesi e pieni di ostacoli e agire con cautela. Con me porto l'unico sacco a pelo che servirà per ripararci dal gelo della notte. Dico unico perchè in teoria dovremmo averne uno per ogni componente della pattuglia, ma disposizioni assurde ci obbligano a portarne uno solo perché il Comando teme che una volta infilati dentro ci prende il sonno e cosi non svolgiamo il compito che ci è stato assegnato che è quello di controllare che non ci siano attraversamenti illegali di persone e cose dal confine Svizzero a quello Italiano.

L'attesa è lunga, fa freddo, decidiamo di infilarci tutti e due dentro al sacco a pelo per riscaldarci un po', in barba alla regola che indica il contrario. La cosa buffa è che anche il cane vorrebbe infilarsi dentro il sacco insieme a noi. Ma il conduttore con tono brusco gli ordina di rimanere fuori e di stare attento. Il cane ubbidisce, si siede. le orecchie tese, il muso rivolto dritto al confine, pronto a percepire ogni rumore anomalo. Argo è una bella bestia, addestrata bene per il suo compito, ma ha raggiunto quasi il limite della sua messa a riposo dopo anni di intensa attività. A volte il suo conduttore ha problemi a fargli accettare i comandi che gli vengono impartiti. Ora sta lì in silenzio, sembra aver recepito in pieno quanto gli è stato ordinato.

Fratucello, questo è il nome del conduttore del cane, che io per abbreviare chiamerò “Frate”, è un ragazzone tutto sommato di buon carattere, con più esperienza di me in questo tipo di servizio. In questi posti l'anzianità di pochi anni o addirittura di pochi mesi conta molto. Ma lui, fortunatamente non è di quelli che fanno pesare la cosa. Da buon trentino invece gli piace qualche buon bicchiere di vino e anche questa notte esce dal Comando abbastanza allegro. Il rapporto che ha stabilito con il suo cane non è tra i migliori. Come previsto dal regolamento, ha cura dell'animale ma non ha molto legame affettivo con lui. Ogni tanto gli rifila qualche calcio, e qualche pugno, quando ritiene di non essere ubbidito a dovere. Io soffro nel vedere queste azioni, ma non posso intervenire, lui è il responsabile della gestione. Argo subisce in silenzio, senza nemmeno guaire e da lì capisco quanta referenza e rispetto ha per il suo padrone. Mai una volta l'ho visto rivoltarsi contro per le botte subite. Io amo questo cane e quando ho la fortuna di uscire in pattuglia con loro mi sento piu' tranquillo.Tra noi tre è nato un buon accordo e riusciamo anche a farci qualche risata dimenticando per qualche momento la responsabilità e la pericolosità degli incarichi che dobbiamo svolgere.

Il tempo trascorre lentamente e complice sia il tepore del sacco a pelo che del vino bevuto la sera, Frate si addormenta. Il patto tra noi è quello di darci ogni tanto il cambio. Al momento io resto sveglio.

La notte è fredda ma limpida, la volta stellata è meravigliosa e nel contemplarla quanti pensieri si affacciano alla mia mente che mi coinvolgono totalmente facendomi dimenticare per alcuni istanti il luogo in cui mi trovo.

Ripasso tutti i consigli che mi sono stati dati, durante il corso di istruzione su come ci si deve comportare in casi di intervento anti contrabbando. Penso a casa, alla mia famiglia, alla scuola che ho abbandonato per arruolarmi, agli amici, che magari stanno divertendosi in qualche posto. L'epoca che vivo è di grandi cambiamenti, i giovani portano tutti i capelli lunghi come vuole la moda dei Beatles. Io, invece sono costretto a portarli corti, venendo riconosciuto subito come militare. Cosa un po' fastidiosa.

Tutto questo accade mentre sono lì, sdraiato per terra, al freddo, a dividere un unico sacco a pelo col compagno ed ammirare la volta celeste in un silenzio assoluto.


Mi chiedo cosa sto facendo lì, alla mia età, neanche 20 anni, in mezzo ad un bosco, armato di pistola beretta calibro 9 e moschetto mod. 91, e con un unico sacco a pelo da dividere in due a controllare che vengano rispettate le leggi fiscali in vigore nel mio Paese.

Eppure nonostante la malinconia del momento e del luogo in cui mi trovo, che non è dei più idilliaci, sono fiero di indossare la divisa e di adempiere ai compiti che mi sono stati affidati, con molto senso del dovere.

Ma ecco che mentre sono assorto in tutti questi pensieri scorgo il cane Argo che comincia a dare segni di nervosismo. Sveglio il compagno e gli dico:
“””Frate, ci siamo, il cane sta sentendo qualcosa.””” e lui:
“””Si hai ragione, Argo si comporta così quando sente persone che si muovono nell'oscurità””” io dico:
“””Frate, io ancora non sento nulla ma a vedere i movimenti ed il nervosismo del cane mi rendo conto che sta per accadere qualcosa”””
Tutto questo viene detto confabulando tra noi sottovoce in modo da non sviare l'attenzione del cane a quello che sta percependo.

Ecco che qui entra in gioco il buon addestramento che ha ricevuto. Di solito un cane normale al primo rumore percepito dal suo udito comincia ad abbaiare, lui invece no, dalla sua bocca esce appena un impercettibile sibilo. Il conduttore allora si convince e capisce che sta accadendo davvero qualcosa. In silenzio ascoltiamo anche noi, immobili. Siamo proprio vicini alla rete fiscale e dopo un po' ecco che la reazione del cane si concretizza in un movimento di persone che stanno attraversando il confine per entrare in Italia dai luoghi non consentiti. Sappiamo di che si tratta, contrabbandieri di sigarette.

Io sono alle prime esperienze, tra poco dobbiamo agire, il cuore comincia a battere forte forte, la tensione aumenta, siamo in due piu' un cane a fronteggiare almeno un gruppo di dieci persone. Loro hanno sulle spalle il sacco pieno di sigarette di contrabbando che si apprestano ad introdurre illegalmente nel nostro paese. Il conduttore impartisce al cane Argo il classico ordine che si dà in questi casi: "Attacca". Questo significa che il cane è addestrato ad attaccare la persona che porta in spalla la merce di contrabbando, ma non appena questi la abbandona per terra, il cane deve fermarsi e controllare il carico senza curarsi della persona. A questa deve preoccuparsi il tutore della legge se riesce in qualche modo ad arrestarla e condurla al Comando. In queste frazioni di secondo comincia la fase di attacco e sia il cane che tutti e due noi ci muoviamo correndo contro questo gruppo di persone, le quali avvertite dal rumore conseguente al nostro correre, alcune riescono a fuggire e ritornare in Svizzera, altre abbandonano il carico e si perdono nell'oscurità del bosco.

Sembra un fermo di sigarette classico, infatti quello che interessa maggiormente è recuperare la merce illegale se poi se si riesce a fermare il responsabile tanto meglio. Ma qualcosa va storto. Argo ha compiuto in parte il suo lavoro. Invece di fermarsi davanti al carico giacente lì per terra, ha continuato ad inseguire la persona che lo portava. Questo significa che nella sua corsa Argo ha sconfinato in Svizzera. Ahime!! quello che non doveva accadere è accaduto, ci siamo guardati in faccia tutti e due attoniti, ci siamo detti, qua stanotte, succedono dei guai, se le Guardie Svizzere si accorgono che un cane anti contrabbando italiano è sconfinato in Svizzera per inseguire una persona, qui si rischia l'incidente diplomatico.

Il tempo passa, inutile chiamare il cane, anche a voce alta, sembra scomparso nel fitto del bosco. Siamo proprio scoraggiati e amareggiati e anche impauriti ma ecco che all'improvviso, dal nulla, appare Argo.

Un sospiro di sollievo esce dalle nostre bocche, ma l'animale si prende anche una bella pedata nel sedere dal suo conduttore e consapevole dell'imperdonabile errore commesso, non ha nessuna reazione, emette solo un impercettibile mugolio, come per chiedere scusa dell'errore commesso e con la coda tra le gambe si accuccia vicino al suo padrone. Dopo i primi momenti di paura e di rabbia, tutto passa, e anche io provo a dare una carezza ad Argo come per rincuorarlo. Lui sembra accettare e mi lecca la mano.

Tutto è finito per il meglio. Piano piano cominciamo a trasportare la merce sequestrata al Comando. dove riceviamo i complimenti del comandante e dei colleghi per il buon esito dell'operazione.

Qui apro una parentesi che sarà argomento di un altro racconto quando e se ne avrò voglia di scriverlo, ma mi interessa rilevare che nella mia permanenza a questo reparto disagiato sono state molte le notti come questa passate all'addiaccio e nelle condizioni descritte. Queste notti sono state per me foriere di buon auspicio. Quando ho deciso infatti di concorrere per l'ammissione alla Scuola Sottufficiali, ormai lontano da questo reparto disagiato, indovinate quale è stato l'argomento della prova scritta? Ebbene si, il titolo del tema è stato il seguente:
“Il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me. Commentate queste parole scritte da un celebre filosofo (Kant)”.

Quando i commissari leggono questo titolo nella sala dei concorsi, un brivido percorre la mia schiena, e penso: “””Coraggio, questa volta ci sei, è il tuo momento fortunato. Prendi al balzo questa opportunità e concentrati al massimo sull'argomento del tema, che è alla tua portata. Sono fatti e situazioni che hai vissuto di persona sulla tua pelle pertanto non puoi sbagliare.””” Dopo poco tempo infatti mi viene comunicato che il mio trattato è stato classificato con un punteggio tale da risultare primo “ex equo” con quello di un altro collega della stessa Legione da cui dipendo. Evviva! forse è il momento che riesco a fare un salto di qualità nella mia carriera. Con il superamento della prova scritta si accede a quella orale. Tutto questo accade mentre non sono piu' nel reparto disagiato, ma mi trovo in un posto dove è l'invidia di tutti i miei colleghi. Sono soddisfatto, ma questa è un'altra storia.

Foto alla sinistra Argo ed io. Foto alla destra io e i sacchi di sigarette sequestrate.

La mia terra

LA MIA TERRA
Qual é la tua terra?
Quella che ha dato i natali,
là dove, le spoglie mortali
dei tuoi avi, polverizzò.
Quella, che Pietro ed Enea
provati da mille avventure;
attraversando mari e pianure.
Or l'uno, or l'altro baciò.
Dové la tua terra?







All'ultima punta del tacco,
bagnata, da un mar di cobalto,
la veglia il faro dall'alto,
l'addita, alle genti che può.
Ma é quella, scordata da tutti,
gabbata da rossi e da neri,
cari amici, siate sinceri;
anche Iddio questa terra scordò?...
Com'é la tua terra?
Rocciosa ed arsa dal sole.
Dà vita ad annosi uliveti,
ma scarsa, di buoni frutteti
per campar la tua gente lasciò.
Spazzata da un vento infuocato,
rimane la siepe ed il rovo;
Per questa terra io provo:
Rimpianti, nostalgia ed amor,
Terra ... che scotti sotto i miei piedi,
comunque tu sia ....se mi credi:
Io t'amo

Il Paese delle donne incinta

Mi trovo a svolgere il mio servizio in quel di Brescia e come ogni mattina, oramai da anni, mi reco in ufficio per assumere gli incarichi che dovrò' svolgere nell'arco della giornata.

Apparentemente sembra un normale giorno di lavoro, come tanti altri, ma si percepisce nell'aria, che qualcosa sta accadendo. Si nota infatti un insolito movimento dei capi sezione che entrano ed escono con una certa apprensione dall'ufficio del Comandante. Oramai l'esperienza mi insegna che questi comportamenti preludono al manifestarsi di qualche fatto di una certa rilevanza. La porta si apre e un capo sezione invita me e altri due colleghi ad entrare. Ecco che le mie supposizioni sembrano avverarsi e penso tra me e me: “”” oggi a casa non si pranza ahimé!””” Qualcosa di grosso bolle in pentola.

Dopo aver chiuso la porta, ci viene illustrato lo scopo di questa convocazione che è tutt'altro che una cosa semplice da attuare.

Ci viene consegnato un “mandato” rilasciato dalla Procura della Repubblica di Milano che ordina di effettuare una perquisizione domiciliare presso l'abitazione di una persona abbastanza influente e che riveste un ruolo delicato nella funzione pubblica. L'atto deve essere eseguito nella cittadina di Ala di Trento ove si trova l'abitazione di questa persona.

La motivazione inserita nel documento che ci viene consegnato riguarda una supposta appartenenza del soggetto ad una loggia segreta massonica che prende il nome di Loggia P2.
In Italia in questo periodo c'è un certo fermento, gran parte delle Procure della Repubblica hanno delle indagini in corso sul fenomeno delle logge massoniche segrete e una di queste è proprio la P2.

In breve, queste consorterie non sono riconosciute legalmente dalla legge italiana perché si presume che all'interno di esse si svolgano pratiche anticostituzionali a danno del Paese.
Per chi volesse approfondire l'argomento può' andare in qualsiasi libreria o cercare in Internet e trovare una vasta letteratura che spiega il fenomeno.

Molti personaggi della politica, della finanza, del giornalismo vi erano implicati in queste associazioni ritenute illegali. La giustizia italiana stava cercando di capire fino a che punto queste consorterie erano legali nel territorio oppure agivano in contrasto con le disposizioni di legge. Ma la cosa non era facile, da scoprire. Troppe implicazioni, connivenze, protezioni, ad alto livello politico e istituzionale. Via via lo scandalo aveva assunto proporzioni sempre maggiori. Non passava giorno in cui radio, televisione e giornali non si occupassero della cosa.

Comunque lasciando da parte l'aspetto puramente politico e la risonanza data dai “mass media”, a noi ci era stato ordinato di eseguire l'ordine impartito dalla Magistratura milanese la quale cercava di fare chiarezza anche al suo interno in quanto risultavano iscritti a queste organizzazioni anche dei loro appartenenti.

La questione era abbastanza delicata e quello che ci viene raccomandato è di usare la massima discrezione perché avremmo dovuto agire nei confronti di un personaggio che rivestiva una carica pubblica di importante rilievo.

Il capo ordina di preparare tutto il necessario per recarsi nella cittadina di Ala di Trento che si trova nella omonima provincia e di raggiungerla con l'autovettura Alfa Romeo Giulietta 1800 condotta da un alfista esperto. Questo tipo di veicolo nel nostro ambiente era classificato come vettura da inseguimento. Il suo utilizzo principale era volto al contrasto alle attività illecite, in particolare nella lotta al contrabbando. Chi è addetto alla guida di questi è personale esperto che ha fatto dei corsi specifici all'uso. L'autista quindi che deve condurci a destino è uno di questi. “alfisti”.

Bisogna fare una piccola precisazione. In genere questi tipi di individui sono un po allergici agli ordini che vengono dati e quando possono spingono a tutto gas l'autovettura anche se non c'è bisogno. Oggi l'autista è uno di quelli e sarà' difficile tenerlo a freno.

Preparati tutti i documenti e fatto il pieno di benzina al veicolo, partiamo, ci immettiamo in autostrada e allo svincolo della Verona Brennero prendiamo per l'autostrada A22 in direzione di Trento.

Per una certa forma di tutela e brevità dirò solo i nomi dei componenti la pattuglia composta quindi dai marescialli, Elvio, Teodoro ed io. più il matto di alfista, Rago, al quale non gli è stato raccomandato altro che guidare con calma tanto il tempo per eseguire il servizio lo avevamo. Lui di malavoglia aveva accettato questa situazione ma sono sicuro che alla prima occasione avrebbe tirato fuori le unghie.

Durante il tragitto per raggiungere la destinazione avevamo anche il tempo e la voglia di fare battute scherzose, commentando anche sull'incarico che ci era stato affidato e sul come avremmo potuto svolgerlo nel migliore dei modi.

Dopo un paio d'ore di viaggio circa, raggiungiamo il posto dove avremmo dovuto eseguire il Mandato.

Ecco però che già cominciano a sorgere i primi problemi. Nell'abitazione infatti non troviamo nessuno a cui recapitare l' ordine di accesso nell'abitazione ed eseguire la perquisizione domiciliare. Ora non ricordo esattamente i termini esatti del perché' non entrammo immediatamente, forse per scrupolo del capo pattuglia o qualche altro intoppo, sta di fatto che non entrammo subito. Ma ci mettemmo in attesa che qualcuno arrivasse per aprire la porta per entrare.

Che facciamo che non facciamo, si decide di fare nel frattempo una passeggiata per la cittadina di Ala di Trento che a dire il vero era veramente bella ed interessante. Ma una cosa colpì tutti noi. La gran parte delle giovani donne che incontravamo erano tutte in stato interessante e quello che meravigliava maggiormente era che sembrava avessero gli stessi mesi di gravidanza. Divertiti di questo fatto ci siamo guardati in faccia e chiesto tra noi come mai questa cosa. Incuriositi abbiamo voluto andare a fondo della questione e per saperlo non avremmo fatto altro che fare un po' di faccia tosta e chiedere a qualcuno. Siamo entrati pertanto in un bar e dopo aver preso un caffè' abbiamo rappresentato la nostra curiosità' al gestore del locale e lui sorridente ci ha spiegato l'arcano.

Vedete disse:
"""Ala di Trento è un paese dove i giovani mariti lavorano molto all'Estero per lungo tempo. E i rientri in famiglia sono quasi tutti dello stesso periodo, e quindi....."""" Capito al volo a cosa intendeva alludere il gestore del bar ne siamo usciti soddisfatti di aver scoperto il piccolo mistero accingendoci a raggiungere il luogo dove avremmo dovuto eseguire i nostri compiti. Purtroppo sul posto ancora non si vedeva nessuno a cui recapitare questo benedetto ordine di perquisizione. Alla fine il capo pattuglia stanco di aspettare decide di ritornare alla sede del nostro comando senza eseguire nulla.

Il comportamento del responsabile della pattuglia a mio avviso non è da criticare tenuto conto della persona che sarebbe stata sottoposta a questo controllo. Comunque prima di decidere autonomamente aveva sentito il parere del nostro comandante il quale aveva acconsentito a desistere in assenza dei proprietari.

Così quindi con calma con cui eravamo arrivati si rientra chiacchierando tra noi e commentando su quanto era accaduto in particolare sulle donne in stato interessante.

Alla sede però il capo non convinto della situazione, non ci rende subito liberi di andare ma dice di attendere, ancora un po' che avrebbe chiesto lumi anche lui sul da farsi.

Fece un giro di telefonate, in quanto la cosa era talmente delicata che bisognava ricevere direttamente ordini dal Comando di Milano.

Dopo poco tempo infatti ecco la brutta notizia. Bisogna ritornare la' ed eseguire il mandato anche senza la presenza dei proprietari dell'immobile, come del resto previsto dalla legge. Il problema era che questa volta dovevamo fare alla svelta perché' la sede di Milano che dirigeva tutta l'operazione doveva essere messa al corrente immediatamente degli elementi in nostro possesso.
Questa volta l'autista non fece davvero una passeggiata, si comporto' proprio come lui era stato addestrato ad agire alla guida di un'autovettura da inseguimento Alfa Romeo. Viaggiavamo infatti in autostrada alla velocità di 185 Km orari.

Nessuno fiatava, pregavamo che tutto andasse per il meglio e non vedevamo l'ora di arrivare.
Constatato quindi che non c'era bisogno della presenza di alcun proprietario per dare riscontro al mandato, ci siamo preoccupati di trovare un fabbro che forzasse la serratura di ingresso per dare finalmente esecuzione a quanto ci era stato impartito. Tutto il materiale ritenuto utile secondo quanto prescritto nell'ordine della Procura è stato debitamente riposto in appositi scatoloni e sigillati con le cautele di legge per essere concentrato agli uffici che lo richiedevano.

Quindi in tutta fretta abbiamo fatto ritorno alla nostra sede e anche questa volta l'autista, facendoci passare momenti di brivido, si è dato da fare per arrivare nel più' breve tempo possibile viaggiando in autostrada anche questa volta a quasi 190 Km orari, per consegnare quanto sequestrato . Durante il viaggio, ci siamo scambiati poche parole, un po' per lo stress subito un po' per paura della velocità' del veicolo in mano al soggetto un po' particolare che lo guidava.

Giunti alla sede e consegnato il tutto al Comandante questi finalmente ci ha messo in libertà. Ma nel frattempo si era fatto tardi e come era stato nelle mie previsioni il pranzo era saltato. Pazienza, dovevo mettere in conto queste cose perché' facevano parte delle incognite del mio lavoro.

Si sapeva quando si usciva di casa al mattino, ma non si sapeva quando si ritornava.

Avrei potuto mangiare anche se in ritardo una volta a casa.

Foto di Ala di Trento e donna incinta

Cappello Alpino

Il cappello Alpino - Copricapo storico del Corpo


Il più dolce e fedele compagno dell'alpino,
e del finanziere è il suo cappello
con la "penna nera".
Bagnato di sudore, il suo colore nacque
dalla polvere delle strade,
dal sole dell'estate,
dalla pioggia e dal fango delle terre inospitali,
Bagnato di lacrime, la sua forma
fu modellata dal peso di zaini e sacchi,
da colpi d'arma,
da impronte di sassi,
dalla neve, dal vento,
dal freddo delle notte interminabili,
Messo sulle Croci dei Morti
sepolto nella terra umida e fresca.
Lo baciarono i moribondi
come baciavano la mamma.
Compagno amato e inseparabile è la Bandiera
invitta issata sul suo cuore:
insegna nel combattimento e guanciale nella notte;
Vangelo per il giuramento e coppa per la sete;
amore che non tramonta,
canzone dell'anima che non si estingue.


Sensazioni

La mia prima assegnazione di reparto al termine del corso allievi terminato presso la Scuola Alpina non è stata tra le migliori, anzi devo dire che tra tutte le sedi in cui ho prestato servizio nella mia carriera, questa è stata la peggiore sotto tutti i punti di vista a cominciare dalla sistemazione logistica, dai servizi da svolgere, dal contatto con la gente del luogo, inesistente, dai non buoni rapporti con gli ufficiali superiori da cui dipendevo, insomma una situazione davvero critica.

Il reparto era situato proprio al ridosso del confine e per raggiungerlo bisognava percorrere circa due chilometri a piedi attraverso stradine di montagna in quanto tutto intorno non vi era altro che bosco.

Ho ancora impresso il ricordo di quando giovanissimo, neanche ventenne, dopo essere stato per poche ore di permesso nella vicina cittadina di Como al rientro in caserma mi aspettava dopo aver consumato una sbrigativa cena un bel turno di notte in perlustrazione in mezzo al bosco attraverso impervi sentieri. Ancora oggi sogno di attraversarli di notte al buio inciampando qua e là.


Percorrendo, al tramonto, da solo, a piedi il piccolo sentiero, unica via d'accesso, che conduceva alla caserma, un pensiero ricorrente aleggiava nella mia mente: “”Anche se incontrassi adesso un gruppo di contrabbandieri non avrei timore ad affrontarli. Posso benissimo intervenire, secondo gli insegnamenti avuti alla Scuola e senza avere paura di nessuno. Nonostante i disagi patiti tuttavia mi sento orgoglioso della mia condizione. Tu non devi mollare, devi stringere i denti, tanto qui in questo posto non ci starai per sempre. Vedrai che le cose cambieranno. Hai la possibilità ed il privilegio di indossare un uniforme di prestigio, di girare armato. Questo ti fa sentire importante e ti dà il coraggio, di affrontare anche situazioni difficili””.

Certo la mia condizione non era tra le migliori, pensando agli amici che avevo lasciato a casa, loro erano molto più liberi di me e potevano divertirsi molto più di me. Tuttavia al loro paragone mi sentivo più importante. Avevo un lavoro da svolgere e mi sentivo utile alla società per quello che facevo nonostante i disagi. Turni pesanti, sia di notte che di giorno, disciplina severa, controlli continui da parte dei Superiori.

La zona infatti era molto critica sotto il profilo della attività di contrabbando che veniva commesso a quei tempi tra la Svizzera e l'Italia.

Una sera di queste, mi accingevo ad uscire in pattuglia con il collega Marco (nome di fantasia).

Lui era nuovo del reparto, proveniente da un' altro posto di confine, ma lo rimpiangeva e ritrovarsi in questa nuova assegnazione lo aveva un poco demoralizzato.

Raccontava infatti che l'ambiente da dove proveniva era molto diverso, i contatti con la gente e con gli stessi superiori erano di gran lunga migliori di quelli trovati qui. Però nonostante tutto questo, doveva necessariamente essere disponibile per il nuovo incarico. Aveva qualche anno di servizio più di me e questo contava molto in quei posti. La sola differenza anche di mesi, faceva si che si doveva rispettare l'anzianità, tant'è che si veniva nominati capi pattuglia, anche se io al reparto vi ero da più tempo di lui.


Come persona non era un cattivo ragazzo, né arrogante e presuntuoso e non faceva pesare la sua condizione di anzianità. Avevamo fatto anche amicizia, ci rispettavamo, ma aveva sempre un poco di nostalgia del posto che aveva lasciato.

Aperta la busta contenente l'ordine di servizio si appresta a leggerlo: “”Perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando in genere. Orario: 22/04, con la descrizione delle località da sottoporre a controllo e l'indicazione del tempo di permanenza. Come ultima destinazione vi è indicata la località: “Maslianico”, da raggiungere percorrendo i sentieri “vipere” e sentiero “dell'uomo morto”” Nomi abbastanza lugubri. Immaginate a percorrerli di notte in mezzo alla boscaglia che bell'effetto!

Data lettura all'ordine di servizio, Marco mi dice:””Mamma mia che incarico abbiamo da svolgere stanotte: Senti... io sono nuovo di qua e devo affidarmi alla tua esperienza per raggiungere questi posti”” Va bene rispondo: “”Ti guido io stanotte””.

Prendiamo la nostra roba consistente in un sacco a pelo per due, ci viene consegnato ad ognuno il moschetto mod. 9 prelevato dall'armeria e caricato con pallottole a mitraglia più la nostra arma di ordinanza, pistola automatica beretta calibro 9 che portiamo sempre con noi anche quando dovremmo essere fuori servizio.

Un commento sul sacco a pelo. Anche se il regolamento diceva che avremmo avuto facoltà di usarne uno ciascuno, chissà chi aveva dato una disposizione interna al reparto che ne permetteva l'uso di uno solo. La risposta era semplice, il comando aveva paura che se ci fossimo infilati dentro ad ognuno ci saremmo addormentati entrambi, a scapito del controllo che si sarebbe dovuto compiere.

Detto questo ci accingiamo a fare il nostro lavoro. La notte appare tranquilla, sino al momento di effettuare l'ultimo appostamento ma mentre ci incamminiamo per raggiungerlo ho come un presentimento, mi rivolgo a Marco e gli dico:

“”Ho la sensazione che qui debba accadere qualcosa, sento che con ogni probabilità ci sia del movimento e poi sembrerà inverosimile ma quando arriva al reparto uno nuovo, sempre accade che si sequestra della merce di contrabbando e quindi con molta probabilità potrebbe accadere anche stanotte. “”

Lui si fa una risatina e mi dice che anche da dove proveniva si pensava la stessa cosa.

Gli dico : “”Sai cosa dobbiamo fare? Invece di andare a metterci al solito posto, perché non cambiamo e ci spostiamo di qualche metro nascondendoci al di sotto del sentiero invece di stare di sopra. Ci separiamo, ma teniamoci ad una distanza di sicurezza in modo di riuscire a comunicarci a voce visto che non siamo dotati di apparati ricetrasmittenti.””” Lui annuisce confermandomi che andrà a sdraiarsi poco più avanti.

Deciso il da farsi ognuno di noi va a posizionarsi dove era stato stabilito.

Il tempo trascorre lentamente, non fa freddo, il cielo è limpido e ci troviamo a poca distanza dalla rete fiscale che separa la Svizzera dall'Italia, guardando sotto di noi si intravedono le luci del valico internazionale di Ponte Chiasso. Noi siamo abbastanza alti sulla costa della montagna e nelle nostre orecchie arriva l'impercettibile frastuono del movimento dei mezzi che attraversano la frontiera in entrata ed in uscita dalla Stato.

Ad un certo punto, comincio ad avvertire dei rumori, tendo bene l'orecchio e sento proprio il calpestio dei passi di persone che si stanno avvicinando al confine. Considerata l'ora di notte e il luogo in cui ci trovavamo non ci vuole nulla a capire che sono proprio gli “spalloni” (così venivano chiamate le persone che attraversavano il confine con sacchi di sigarette sulle spalle) che si apprestano ad effettuare il passo con il loro carico dopo essersi sincerati che la zona era libera da controlli.

La tecnica che usavano quando si accingevano a portare fuori dal confine svizzero sigarette di contrabbando consisteva in una preliminare perlustrazione del luogo di attraversamento per sincerarsi che nessuna pattuglia si trovasse nei paraggi, poi ad ogni certa distanza del sentiero che dovevano percorrere, mettevano uno di loro a fare da palo per segnalare eventuali pericoli.

Ci siamo, ho pensato, questa notte è buona per sequestrare le sigarette. Spero che non ci scoprano.

Come in effetti è stato, la mia idea aveva funzionato, loro infatti erano andati a guardare nel posto dove di solito la pattuglia si mette quando va in appostamento in quella zona e non avendo trovato nessuno hanno dato inizio alle operazioni.

Questo è un momento davvero critico e anche di una certa pericolosità, si trattava di intervenire a quell'ora di notte, in mezzo ad un bosco per reprimere un'azione illecita in due contro una probabile decina di persone. Generalmente tra noi e i contrabbandieri a quell'epoca vigeva come un codice di comportamento nel senso che era difficile arrivare ad atti violenti. Se loro venivano scoperti abbandonavano il carico e si davano alla fuga senza reagire. La legge ci imponeva di procedere al loro fermo ma non era facile, era gente che conosceva i luoghi perfettamente perché in genere erano persone che abitavano nei dintorni e si guadagnavano da vivere facendo questa attività. Per noi già era una soddisfazione di giungere in caserma con un carico di sigarette sequestrato. Ci dava prestigio ed una certa invidia da parte dei colleghi quindi evitavamo di procedere al fermo di persone, se non proprio in casi eccezionali.

Intanto il primo spallone era già entrato nel territorio italiano, lo vedo passare ad una distanza di qualche metro sopra di me, io ero sdraiato a pochi passi da lui, ma non si accorge di nulla, lo lascio passare, il metodo era quello di farli entrare quanto più possibile in modo da fermare più bricolle, non era facile, ma si tentava sempre questo espediente.

Arriva il secondo, decido di uscire alla scoperto e di mettermi dietro di lui seguendolo come un'ombra. Il sacco che ha sulle spalle gli impedisce di vedermi e non si accorge che lo pedino.

Per evitare di fare dei movimenti sbagliati, quasi divertito, sincronizzo il mio passo al suo, come quando ci si addestra in piazza d'armi per le parate militari e camminiamo in questo modo per un buon tratto di sentiero. Nel frattempo altri erano usciti e si trovano in cammino tra me e il collega che stava appostato dietro e sicuramente anche lui si era accorto del movimento e aspettava un mio cenno per intervenire. Ma io ancora non mandavo alcun segnale, continuavo a seguire lo spallone ma ad un certo punto, del percorso ecco che intravedo nell'oscurità una persona vicino o addirittura appoggiata ad un albero, era il “palo”. Sicuramente stava là apposta per segnalare eventuali nostre presenze. Continuando a camminare ci avviciniamo a lui e lo superiamo, vedo che lui gira la testa e dice qualcosa in dialetto stretto della zona all'uomo che io stavo pedinando, e intanto mi osserva perplesso e sbigottito ma in un primo momento non capisce chi possa essere questo individuo che cammina dietro al suo compagno senza alcun carico. Dopo qualche metro, però, sento che comincia a gridare segnalando il pericolo. Oramai siamo scoperti e dobbiamo intervenire segnalando la nostra presenza. Si verifica un fuggi fuggi generale, ma qualcosa viene abbandonato per terra prima di scappare. L'uomo che stavo pedinando si sbarazza del carico gettandolo a terra e fugge via precipitosamente. Io per il momento lascio la bricolla per terra e mi preoccupo di andare di corsa a dare aiuto al collega che nel frattempo era intervenuto anche lui . I questa fase concitata insomma riusciamo a recuperare nel buio della notte tre bricolle di sigarette di contrabbando del peso di 20 Kg. ciascuna. Non era il massimo, ma bisogna considerare che eravamo solo in due, senza l'ausilio del cane, e che il collega era in uno dei suoi primi servizi intrapresi in questo reparto e non era ancora pratico dei sentieri e quindi doveva muoversi con una certa cautela per non cadere in qualche buca o sbattere contro qualche ramo o albero e ferirsi. Non sarebbe stata la prima volta che rientravamo con contusioni e graffi su tutto il corpo ma per fortuna non gravi. Io forse meglio di lui ero più abituato ad agire di notte in mezzo a quel bosco ed a quei sentieri. Lo raggiungo e gli chiedo come è andata. Lui tra l'eccitazione e la gioia di avere fermato il suo primo carico mi dice: “”Bene bene mi hanno mollato qua due sacchi.”” “”Allora ritorno a prendere l'altro””, gli dico, sperando di ritrovarlo in questo buio. Infatti stava ancora là.

Beh! Tutto sommato il nostro risultato di servizio quella notte lo avevamo fatto.

Dico a Marco: “” Hai visto? Che avevo ragione? La mia sensazione era giusta? Tu stanotte hai portato fortuna, ma anche noi ce la siamo procurata, perché se andavamo a metterci ai soliti posti quasi sicuramente ci avrebbero scoperto e non avrebbero fatto nulla di nulla.”” Lui sprizzava contentezza da tutte le parti. Mi dice: “” Capperi avevi ragione””.

Certo che in qualità di capo pattuglia e responsabile del servizio ebbe il plauso di tutti i colleghi e del comandante, ma lui nei miei confronti dopo quella volta ebbe sempre una sorta di ammirazione e di rispetto e per tutto il tempo della nostra permanenza al reparto sempre ricordava quell'episodio apprezzando in me l'inventiva e il modo coraggioso con cui l'avevo portato a termine.

martedì 11 marzo 2008

Frustrazione


Dopo un periodo di servizio trascorso in un Reparto cosiddetto “ordinario“ situato nella provincia milanese, riesco ad ottenere un trasferimento per una sede diversa sempre situata nella zona lombarda.

Finalmente era stata esaudita una mia aspirazione che ambivo da anni.

A causa di questo importante passaggio mi sono rimasti impressi fatti, situazioni, stati d'animo che voglio qui descrivere.

L'identificazione precisa dei luoghi e delle persone con cui ho avuto contatti non hanno molta importanza ai fini del racconto ma quello che conta è ciò che ho sentito dentro di me affrontando l'esperienza del cambiamento e spero che con questa mia scelta di non sminuire la forza del racconto.

All'epoca in cui narro la vicenda il tipo di sede in cui avrei dovuto essere impiegato era considerata il fiore all'occhiello della nostra Amministrazione in termini di efficienza operativa. Chi aveva voglia di lavorare e migliorare la sua qualificazione professionale ne voleva fare sicuramente parte.

Al giorno d'oggi forse altri Uffici sono sorti in seno alla nostra organizzazione per contrastare nuove forme di evasione e lotta sia al contrabbando che alla criminalità organizzata ma ancora quel tipo di Reparto è molto ambito da tutti gli appartenenti.

Tutti i poteri che la legge italiana attribuisce al Corpo in termini di controllo al sistema economico- finanziario del Paese sono messi in atto attraverso questa emanazione con gli strumenti e con i mezzi necessari allo scopo. Anche la preparazione del personale che vi fa parte è di ottimo livello Questo non per sminuire le capacita di chi opera in Reparti, cosiddetti ordinari ma l'organizzazione interna di questa struttura è finalizzata unicamente a perseguire il controllo su ogni manifestazione della vita economica del Paese affrontando le problematiche secondo una organizzazione molto valida.

Sin dai tempi della Scuola Sottufficiali l'obiettivo finale per tutti gli allievi era di riuscire ad entrare a lavorare per questo tipo reparto. Chi si qualificava nei primi posti della graduatoria finale stilata al termine della prima parte dei corsi veniva scelto e mandato a queste sedi.

Non voglio fare un trattato sulla loro operatività ma la loro competenza territoriale si sviluppa in questo modo: provinciale, regionale e centrale.

Così che molti dei miei compagni al termine del tirocinio ebbero questa assegnazione, con molta invidia da parte mia. Ma devo fare un “mea culpa“ perché tutto è dipeso esclusivamente dalla mia mancanza di impegno nello studio, almeno nella prima parte. All'epoca in cui frequentai io infatti il periodo di addestramento era suddiviso in due parti. Il primo, della durata di circa 9 mesi era dedicato all'insegnamento dell'arte militare oltre che all'apprendimento delle materie economico-amministrative.

La seconda parte, della durata anch'essa di altri nove mesi era volta all'insegnamento specifico delle materie economico finanziarie. Ma quello che valeva ai fini dell'assegnazione era proprio la stesura della graduatoria alla fine del primo corso. Cosa in cui io non brillai molto a causa della mia negligenza e scarsa voglia di studiare. A nulla valse il mio ravvedimento nella seconda parte che mi portò ad avanzare di almeno un centinaio di posti nella seconda graduatoria ma questo mio sforzo non mi fece rientrare tra quelli prescelti. Comunque mi servì lo stesso perché mi permise di affrontare il servizio reale con una certa infarinatura teorica. Ero comunque riuscito a capire che lo studio fatto in un certo modo dava soddisfazione.

Così che fui assegnato ai Reparti Ordinari del Corpo e dovetti fare diciamo una “gavetta“ di diversi anni prima di veder esaudito questo mio desiderio, aspettando il momento opportuno per ritentare di fare anch'io parte di questa istituzione.

Nel frattempo avevo fatto esperienza nei reparti ordinari dove se un soggetto aveva voglia di elevare la sua qualificazione professionale, non mancava occasione di poterlo fare.

Il mio pensiero tuttavia era sempre di riuscire un giorno ad entrare in una di queste strutture.

Farne parte significava avere ampi poteri a larga autonomia d'intervento ad iniziare dall'uso in servizio dell'abito civile e non più indossare l'uniforme se non in casi particolari. Uno speciale tesserino abilitava il possessore ad entrare in qualsiasi locale pubblico o sede di azienda per effettuarne i controlli. Queste peculiarità nel nostro ambiente erano molto apprezzate specialmente nei più giovani che volevano emergere e fare esperienze di servizio.

Così il giorno tanto desiderato arriva attraverso un ordine di trasferimento d'ufficio per una di queste sedi.

Devo dire che in questo sono anche stato aiutato da un collega anziano che per motivi di lunga permanenza proprio in uno di questi reparti era stato trasferito e si trovava a fare il suo periodo di interruzione nella sede dove ero io.

Un giorno mi dice: “”Vedo che sei giovane ti comporti bene in servizio ed hai voglia di fare, ti disimpegni bene anche a dattilografare con dieci dita con la macchina da scrivere, perché non te ne vai a reparti speciali dove lì potrai fare migliori esperienze?””

Questo incoraggiamento mi fece davvero bene e gli dissi che molto volentieri sarei andato in una di queste sedi. Allora disse : “”Se vuoi posso interessarmi io e farti fare magari un trasferimento d'ufficio così otterrai anche il rimborso della trasferta.””

Se crede di poterlo fare dissi: “”Molto volentieri accetterò””

Fu di parola e dopo poco tempo io potevo lasciare quella sede per il reparto tanto agognato.

Non è il primo trasferimento della carriera che effettuo e quindi ancora una volta mi accingo a salutare i colleghi del reparto, con una punta di malinconia. Sono circostanze queste che in fondo toccano l'animo di una persona, in quanto per un certo periodo di tempo hai condiviso insieme a loro buoni e cattivi momenti, ma bisogna andare. Carico l' automobile di tutte le mie cose personali e parto per la nuova assegnazione. La distanza non è molta un'ora, un'ora e dieci minuti. Il tempo per fare una sorta di bilancio della mia attività svolta in questa sede, che tutto sommato, non era poi così male.

Nel posto che lasciavo avevo fatto tesoro della esperienza di colleghi più anziani di me allorquando mi trovano con loro a svolgere qualche importante controllo.

Anche io però godevo di autonomia operativa in quanto essendo sottufficiale e avendo fatto servizio prima in un importante valico di confine internazionale il Comandante mi aveva dato fiducia e mi assegnava incarichi anche di una certa rilevanza da svolgere come responsabile. Uscivo infatti con altri militari alle mie dipendenze a compiere tutte le mansioni che erano previste dall'ordinamento di quel Comando.

Comunque pensavo tra me: “”Spero di non deludere ora che andrò a fare parte di una struttura molto particolare ed impegnativa e dovrò impegnarmi molto di più di come ho fatto sin d'ora.””.

Con questi pensieri giungo al nuovo reparto. Parcheggio la mia automobile all'interno di un vasto cortile e guardando la facciata mi rendo conto che la Caserma che avevo lasciato era davvero molto piccola rispetto a questo stabile.

Nell'edificio vi erano tre Comandi di cui uno su tutti aveva il controllo logistico-territoriale sugli altri. Due erano in sede tra i quali quello dove sarei andato io più altri reparti che si trovavano nella provincia.

Quello dove io avrei dovuto prendere servizio aveva una sua un'autonomia operativa propria con giurisdizione sulla città e su tutta la provincia ed era retto da un ufficiale. Sulla carta ed in teoria il suo organico avrebbe dovuto essere composto da circa ottanta elementi, ma di effettivi se ne contavano solamente una quarantina.

Un bel numero se penso a quella poca decina di persone che avevo lasciato nel precedente reparto.

Entro nello spazioso atrio e mi rivolgo al militare che faceva servizio davanti alla porta d'ingresso presentandomi e dicendogli che ero un nuovo giunto e che ero stato assegnato al reparto operativo. Gentilmente il militare mi dice di aspettare un attimo che sarebbe andato ad avvertire gli uffici competenti ed a informarsi in quale camera avrei dovuto alloggiare. A quel tempo ancora non ero sposato e quindi mi spettava un letto in una camera della caserma.

Ringrazio e acconsento ad aspettare in questo atrio assorto nei miei pensieri, quando qualcosa attira la mia attenzione. Mi sento chiamare:

“”Ei brigadiere, cosa fa lì impalato nell'atrio? Non saluta il suo Superiore? Non sa chi sono io? Si presenti. Io qua sono il comandante di tutto, lei come si chiama, da dove viene?.””

Impietrito accenno ad una forma di saluto militare e guardando il grado di questo ufficiale capisco che è un tenente colonnello. Gli rispondo dicendogli il mio nome, cognome, grado e reparto di provenienza informandolo della mia nuova assegnazione e che ero appunto in attesa di istruzioni.

“”Ah! lei è un nuovo giunto”” guardandomi con due occhi freddi e spalancati. Stava per ricominciare il suo rimbrotto quando fortunatamente mi salva l'entrata nell'atrio di una donna, che dopo ho saputo essere la moglie di un ufficiale. All'apparire di questa signora, infatti lui mi dice altezzosamente: “”Bene, brigadiere si accomodi là che poi ne parliamo””. Mi indica una saletta posta nell'atrio e si allontana tutto ossequioso verso quella donna.

Io rimango impietrito, istupidito, allibito, da simile accoglienza, e mi chiedo : “”Ma dove sono capitato?””

Un collega si avvicina a me e mi batte una mano sulla spalla, dicendomi: “”Ei non ci fare caso, quello è il comandante di tutta la caserma ed è il suo modo di fare. Qua tutti lo chiamiamo “Il Tigre”. Nome più appropriato non potevano trovare! Ma fa sempre cosi con tutti chiedo io? Si, si risponde quello, anche peggio...e ridendo e si allontana.

Ancora sono smarrito e comincio ad avere come un moto di stizza pensando tra me, certo che questa accoglienza non me la sarei mai aspettata.

Nel frattempo mi sento chiamare e mi viene indicato che devo presentarmi dall'ufficiale responsabile della mia nuova assegnazione che nel frattempo era stato informato della mia presenza.

Mamma mia !! ho pensato, adesso mi prendo un'altra lavata di testa come prima.

Mi accompagnano fino alla porta del suo ufficio poi il militare si allontana, io busso, attendo che mi si dica di entrare. Una volta entrato saluto militarmente essendo in uniforme, mi qualifico, nome cognome, grado e reparto di provenienza.

Quello che vedo nel frattempo in quel momento non mi sembra reale. La stanza è buia, c'è una lampada da tavolo sulla scrivania che illumina solo una porzione di questa e dietro il mobile intravedo seduta una persona in abito civile con una vistosa maglia di lana addosso, con una specie di papalina in testa e con i piedi appoggiati su una pedana ricoperta con dei giornali.

Mi dice: “Fa freddo e bisogna coprirsi, se mi ammalo io qua chi porta avanti la baracca?””

Vedendo questa scena mi venne subito in mente quella di molti anni prima quando da ragazzo assistetti ad un film il cui titolo era: “L'uomo del banco dei pegni”. Mi sembrava di rivedere quel personaggio, la figura dell'ebreo dietro il banco dei pegni.

Dove sono capitato? Mi chiedevo tra di me.

Allora, esordisce: “”Vedo qua che vieni da ......e fa il nome del mio reparto di provenienza,.””

Scambia con me poche parole, in quanto era un momento poco opportuno. Era l'orario in cui doveva dare udienza a tutte le pattuglie che dovevano fare il rapporto serale e quindi non poteva darmi molta attenzione.

Bene mi dice:”” Per adesso vai a sistemarti nella cameretta che ti hanno assegnato e domattina all'orario di apertura dell'ufficio ripresentati qua per vedere dove ti posso collocare””. Rifaccio il saluto militare ed esco dall'ufficio, con un gran senso di nausea.

Ero ancora impaurito del trattamento avuto con il tenente colonnello comandante.

Fortunatamente invece con questa persona le cose sono andate un poco diversamente ma non è che abbia avuto un'accoglienza trionfale. Ho avuto l'impressione che gli avessi quasi dato fastidio per il fatto di essere stato assegnato al reparto da lui diretto.

Al mattino seguente, quindi come stabilito, mi ripresento all'ufficio del comandante, busso, quando mi dice di entrare, apro la porta e dico buongiorno, ma non faccio il saluto militare in quanto mi ero già messo in abito civile. Ho pensato, sono al reparto che offre questa possibilità di andare in servizio in abiti borghesi e quindi perché non approfittarne?.

Niente di più sbagliato. Appeno entro infatti, la prima cosa che mi dice: “”Ah ti sei messo già in abiti civili?” Come per dire non vedevi l'ora di farlo ma almeno potevi chiedere il permesso...

Mi chiede:”Allora di cosa ti occupavi nel precedente reparto” Io gli dico che avevo fatto una certa esperienza un po' su tutti i settori, dal controllo fiscale alle aziende e pubblici esercizi ai controlli anti contrabbando, ai controlli al codice della strada, insomma un poco di tutto.

Al che lui annuisce, resta un attimo in silenzio, poi mi dice: “”Bene per ora sei assegnato alla prima sezione che si occupa di anti contrabbando e controllo sulle imposte di fabbricazione con particolare riferimento agli oli minerali. Quindi per oggi sarai affiancato dall'autista Moreli (nome di fantasia). Cercalo e digli di fare il pieno di benzina all' Alfetta e nell'ordine di servizio indicate che sarete per un giro conoscitivo nella circoscrizione del reparto.

Il che voleva significare che bisognava girare per tutta la città e per tutta la provincia per una durata di dodici ore a bordo di un'autovettura da inseguimento con un autista, che tutto sommato anche abbastanza disponibile, ma mezzo matto che guidava in modo orrendo. Nel traffico cittadino, faceva venire il voltastomaco, con le ripetute frenate e sgommate.

città

Andiamo bene ho pensato tra me e me!. Oggi sarà proprio una bella giornata, come inizio non c'è male. Qua invece di andare avanti e progredire nella mia qualificazione professionale andremo a regredire. Mi aspettavo infatti una diversa assegnazione, un incarico di un certa levatura professionale, invece ancora una volta dovevo intraprendere servizi che avevano a che fare con la lotta al contrabbando. Pazienza, mi sono detto, ma francamente mi sarei aspettato un modo diverso di intraprendere la mia nuova attività, invece come primo approccio di tutto quello che mi è accaduto in quelle due prime giornate mi ha fatto rimpiangere il vecchio reparto che avevo lasciato. In quella sede infatti tutto veniva effettuato con una certa tranquillità e pacatezza al contrario di quanto ho potuto constatare in questi primi momenti di nuova assegnazione.

Ancora mi sono detto: “”Probabilmente dovrò fare un periodo di tirocinio per passare a cose migliori.””

Illusione la mia, per farla breve, nonostante le difficoltà iniziali e non, oramai ero entrato in questa nuova realtà e anche per un orgoglio personale, non sono più tornato indietro nel senso che avrei potuto rinunciare a questo incarico e tornarmene da dove ero partito. Ma non l'ho fatto.

Morale della favola, in questo reparto ci sono rimasto dentro per 21 anni e non sono state tutte rose e fiori. Momenti tristi ne ho passati diversi ma come in tutte le cose che si intraprendono nella vita bisogna saper reagire e non farsi prendere dallo scoramento, dalla delusione, dalla depressione. Le soddisfazioni sono poi venute, ma nel tempo e per ottenerle ho dovuto sudarmele. Ma questo può essere argomento di altro racconto

sabato 1 marzo 2008

Atto di umanità.

Questa storia è tratta dai miei ricordi oramai lontani nel tempo ma ancora vivi in me come se fossero accaduti di recente.

Tutto ebbe origine da un ordine di trasferimento temporaneo nel quale si diceva che dovevo raggiungere un reparto in un'altra località sempre a ridosso del confine Italo – Svizzero.

La motivazione esatta di questo mio movimento non l'ho mai saputa, ma con una certa dose di attendibilità, presumo che sia da attribuire ad una sorta di punizione.

Mi spiego.

Nel posto dove mi trovavo, che non consiglierei nemmeno al mio peggior nemico, prima di essere trasferito, prestavo unitamente a tutti i componenti il reparto, turni di servizio pesantissimi, ad ogni ora del giorno e della notte, dovevamo uscire in perlustrazione per il controllo del confine per reprimere eventuali reati di carattere fiscale e non.

Nonostante i notevoli disagi cui eravamo sottoposti, eravamo anche oggetto di continue ispezioni da parte degli ufficiali superiori. Durante una di queste azioni ispettive, si verificò un problema sulla localizzazione della pattuglia di cui facevo parte, in quanto nel posto e nell'ora che l'Ufficiale riteneva di trovarci, noi non c'eravamo. Mi furono chiesti chiarimenti scritti su questo episodio, che io giustificai cercando di spiegare che il mio incarico, quel giorno, secondo il mio punto di vista, era stato svolto correttamente rispettando gli orari e i percorsi indicati nell'ordine di servizio. Evidentemente le mie argomentazioni non convinsero molto, l'ufficiale, ma non avendo egli elementi sufficienti per infliggere delle sanzioni disciplinari si limitò ad emettere un ordine di trasferimento temporaneo con destinazione: “Bizzarone”, cioè un'altra località il cui territorio era sempre confinante con la Svizzera.

Non sto a descrivere nei minimi particolari la figura di questo ufficiale, ma un accenno sul suo comportamento lo devo fare.

Era considerato l'incubo dei reparti che visitava, effettuava continuamente ispezioni, giorno e notte e al solo sentire nominare il suo nome, il personale veniva preso dal panico. Era molto incline ad emettere provvedimenti disciplinari per quei militari che secondo la sua logica riteneva che non rispettassero sia i regolamenti che le consegne di servizio e quindi fioccavano le punizioni.

Questo era lo scotto da pagare per chi sfortunatamente, a quel tempo, ebbe assegnata la zona di confine tra l'Italia e la Svizzera. Considerata a rischio, sotto il profilo della illecita attività contrabbandiera era incessantemente monitorata dai comandi superiori in considerazione del fatto che il personale occupante le caserme era troppo giovane ed inesperto in quanto la quasi totalità proveniva direttamente dai reparti di istruzione. Tutta gente fortemente motivata, con una gran voglia di entrare in gioco e mettere in pratica tutte le nozioni apprese all'Istituto. Purtroppo un conto era la teoria altro era la pratica e quindi tutta questa gente giovane ed inesperta obbligata a svolgere incarichi molto delicati, con la possibilità non remota di trovarsi anche di fronte alla necessità di far uso delle armi in zona di vigilanza doganale aveva bisogno di essere controllata e seguita.

Per questi motivi tutta la zona era allertata, affinché non accadessero incresciosi episodi violenti, tra chi commetteva questi reati e i militari in servizio. Evidentemente non bastava essere animati da tanti buoni propositi e da tanto coraggio, ma ci voleva anche tanta esperienza che era quella che mancava ai tanti giovani che si trovavano a prestare servizio in quei luoghi.

Tornando quindi al mio trasferimento devo dire che questa cosa mi seccò molto, ho sempre avuto una avversione ad essere avvicendato, è una cosa che non sopportavo, eppure nel nostro ambiente era una prassi usuale, e non c'era verso di evitarlo. Era un'arma che i comandi usavano quando, dove e come volevano. Il povero malcapitato oggetto di questa attenzione, doveva in silenzio ubbidire e di buon grado apprestarsi ad effettuare il movimento. Fintanto che uno non era ammogliato, poteva anche andare bene, ma immaginate a quali disagi e complicazioni sarebbe andata incontro una famiglia intera, con figli in età scolastica o lavorativa. Eppure bisognava accettare pena il rischio di sanzioni o addirittura essere congedati e perdere il posto.

Comunque dovetti accettare mio malgrado l'ordine. Anche se il luogo che lasciavo era a dir poco pessimo, mi dispiaceva abbandonare i colleghi con i quali avevo familiarizzato. Sembra inverosimile, ma la solidarietà con la gente e l'amicizia, si ottiene sempre nelle condizioni più disagiate e il cameratismo si sente più forte. Anche se i contrasti tra di noi venivano alla luce, ma sostanzialmente ci rispettavamo e se potevamo ci aiutavamo uno con l'altro cercando di superare i molti momenti tristi della nostra vita in quel reparto. Tanto la speranza era che un giorno o l'altro saremmo stati avvicendati. Era previsto infatti che dopo aver compiuto un certo periodo di tempo a svolgere il servizio in quelle zone, o a domanda o d'ufficio potevamo essere trasferiti.

Bizzarone, dunque, questa località è situata nella provincia di Como al confine con la Svizzera, all'epoca aveva una circoscrizione molto ampia, bisognava controllare circa tre chilometri di rete di confine, aveva due valichi di frontiera, uno pedonale ed uno stradale. I servizi quindi erano abbastanza impegnativi.
Ai tempi in cui mi trovavo là, la zona era fortemente a rischio di traffici illeciti tra la Svizzera e L'Italia. Vi erano generi quali le sigarette, il caffè, la saccarina, gli orologi, l'oro, i diamanti ed altri prodotti sottoposti in Italia a regime di monopolio che in Svizzera era più conveniente acquistare ma per essere regolarizzati in Italia dovevano sottostare al pagamento di diritti doganali. Questa pratica generalmente non veniva adottata e sia la gente del luogo che altri si preferivano evitare questi obblighi importando clandestinamente la merce.

Per farlo, venivano escogitati tutti gli espedienti possibili ed immaginabili. Si attraversava il confine a piedi violando la protezione delle rete fiscale che lo Stato Italiano avevo posto per arginare il fenomeno, ma come deterrente non valeva molto.

Ad ogni ora del giorno e della notte, la frontiera veniva violata. Era una constatazione di fatto in quanto dalle perlustrazioni che venivano effettuate ci accorgevamo dei buchi alla rete che venivano praticati, e sapendo come queste cose, andavamo di pattuglia muniti di filo di ferro e tenaglie per cercare di riparare le maglie della rete bucata. Altri modi per importare merce nel nostro territorio erano quelli di attraversare i valichi di frontiera, occultando il carico negli autoveicoli, o qualsiasi altro mezzo di locomozione, oppure se si trattava di merce non molto voluminosa questa veniva nascosta anche addosso alla persona stessa. Quando avevamo sospetto che qualcuno, uomo o donna che fosse avesse addosso merce di contrabbando, questa veniva accompagnata nell'apposito locale dove veniva perquisita e molte volte l'esito era positivo.

I servizi erano alternati sia al valico pedonale che a quello autostradale più i pattugliamenti lungo la zona di confine dove stava la rete fiscale.

Nonostante la malinconia che mi aveva preso a causa del trasferimento di buon grado mi ero messo a fare il mio dovere anche in quel posto al punto che una sera mentre ero di servizio al valico stradale riesco, così ad intuito, ad individuare un comportamento anomalo di una persona che a piedi transitava dalla Svizzera all'Italia. Lo faccio accompagnare nella sala delle visite e qua emerge durante la perquisizione personale che aveva nascosto sotto la camicia un corpetto, ove era occultata della saccarina. Questo episodio mi fece ottenere le grazie del comandante del reparto additandomi ad esempio per tutti gli altri colleghi.

“Avete visto? Diceva:, “”neanche una settimana che si trova qua a fare servizio ed ha già' fatto un risultato, prendete esempio da lui e metteteci impegno quando andate al valico””. Io lusingato da questo trattamento, in tutto il periodo della mia permanenza nel reparto ho sempre cercato di non deludere le aspettative del comandante cercando di impegnarmi molto nello svolgimento dei miei compiti. A volte anche una semplice parola di elogio ti dà quel senso di gratificazione che ti aiuta a fare bene il proprio lavoro.

Il reparto era composto da una quindicina di militari la gran parte erano di origine sarda, Orrù, Macis, Piras, Madeddu ecc. Per scherzo veniva chiamata la “Brigata Sassari”, per via delle origini della quasi totalità dei componenti. Per chi non lo sapesse la Brigata Sassari è una formazione di fanteria dell'Esercito Italiano di stanza in una località della Regione Campania e quindi non ha nulla a che fare con il nostro reparto ma io ed altri, per scherzo e per battute, alla Brigata di Bizzarone le avevamo affibbiato quel soprannome.

Questi Sardi tra di loro erano molto uniti. Io li rispettavo e loro rispettavano me. L'uomo sardo è un tipo che se ti diventa amico è amico vero. Hanno uno spiccato senso dell'amicizia, del dovere, e dell'onore ma guai a non essere leale nel comportamento nei loro confronti, allora ti trovi di fronte il peggior nemico. Comunque non ho avuto problemi ad essere accettato come nuovo componente del reparto anche se non facevo parte della loro Regione. Nei loro riguardi non ho mai avuto problemi, probabilmente ero entrato nelle loro simpatie e tutto procedeva regolarmente.

I turni di servizio si avvicendavano con regolarità, perlustrazioni lungo la rete di confine, servizio al valico pedonale e stradale. Il paese offriva poche distrazioni, e ai tempi vigeva la regola, un po' anacronistica, che ci imponeva di non familiarizzare con le gente del luogo per evitare di essere oggetto di corruzione a causa dell'attività di contrabbando che alimentava quei luoghi di confine. Perciò quei pochi momenti liberi che avevamo dovevamo prendere l'autobus e spostarci in altre località. La città più vicina era Como e quindi per avere un po' di distrazione, ci dovevamo recare là.

Una sera, d'inverno, accadde un episodio curioso, mentre eravamo in attesa di uscire di pattuglia, la stufa a legna era accesa, e qualcuno tagliava fette di pane che faceva abbrustolire sulla piastra, poi con un poco di formaggio sardo e olio d'oliva spalmato sopra, le gustavamo chiacchierando del più e del meno in attesa dell'orario di uscita per intraprendere il servizio. Ad un certo punto sbuca da non so dove un topolino, che forse attirato dall'odore del formaggio si era messo a passeggiare per la stanza. Uno di questi colleghi sardi appena vide il topolino gli lanciò contro il coltello che aveva in mano. Fatalmente l'utensile andò a conficcarsi proprio con la punta, sulla parete di legno a pochi centimetri dal topolino. Sbigottiti ci siamo guardanti in faccia e ci siamo messi tutti a ridere, per quella azione, nemmeno al cinema si vedono queste cose riuscire così bene. Divertiti chiedemmo all'autore di questa azione se per caso lui prima di essere arruolato era stato lanciatore di coltelli vista l'abilità che aveva dimostrato nel maneggiare quell'aggeggio.

Lui logicamente rispose di no dicendo che era stato un puro caso che si fosse conficcato in quel modo a pochi centimetri dal topolino che impaurito subito scomparve.

Dopo questo simpatico episodio, era giunta l'ora di intraprendere i servizi cui eravamo demandati, chi doveva andare al valico pedonale, chi a quello stradale, io quella notte dovevo uscire di pattuglia con un collega, sardo logicamente, a perlustrare la rete di confine e reprimere eventuali azioni di contrabbando.

Nonostante io ero ancora nuovo del posto, il collega mi dice:

“”Se vogliamo riuscire a fare qualche risultato di servizio, ovvero se vogliamo sequestrare qualche “bricolla” di sigarette, questa notte ci dobbiamo separare, tu ti fermi in questa posizione io vado più avanti...Se vedi qualcosa di anomalo in qualche modo dammi qualche segnale, io farò altrettanto. Quando scadrà il turno ritorna per la strada che abbiamo fatto e ci incontriamo all'incrocio di quel sentiero”” Dandomi l'indicazione e il nome di quel posto che si trovava nei pressi del reparto.

Io non avevo altra scelta e per dimostrare a lui che non avevo alcun timore a rimanere da solo, di notte, in mezzo ad un bosco, che non conoscevo, ho accettato questa situazione. Anche se devo dire che una certa apprensione l'avevo. Nonostante fossimo armati di moschetto e pistola d'ordinanza, il rischio e l'imprevisto era sempre in agguato.

Così, quella notte trascorsi tutto il turno di servizio, sdraiato per terra, dentro il sacco a pelo, e ad ogni rumore sospetto tendevo le orecchie e aguzzavo la vista per individuare se erano persone o animali notturni che si muovevano nel bosco.

Allo scadere del turno, arrotolo il sacco a pelo, prendo il moschetto e comincio a riprendere la strada di ritorno, cercando di ricordare da quale parte ero venuto, perché niente di più facile era perdersi di notte nel bosco e non avendo apparati radio con noi con cui comunicare la posizione diventava problematico il rientro a meno di non aspettare che facesse giorno.

Io nonostante questi pensieri, mi metto in cammino, quando ad un certo punto del sentiero, vedo una massa scura per terra a pochi metri da me. Un brivido mi corre lungo la schiena, ancora non riuscivo a distinguere bene cosa poteva essere. Penso, magari è qualche contrabbandiere. Lentamente mi avvicino, e con mio grande stupore vedo che per terra c'era un uomo, che si lamentava, mi chino su di lui, e faccio per chiedergli qualcosa, chi fosse a da dove venisse, ma subito capisco dall'odore del suo alito che era una persona ubriaca che molto probabilmente era stata colta da malore e si era persa nel bosco.

In qualche modo riesco a farlo alzare, e a farlo appoggiare su di me. Lui mi dice balbettando che si era sentito male, ed era caduto per terra e non sapeva da quanto tempo si trovava in quella situazione. Al che io gli chiedo se si ricordava dove abitasse che lo avrei accompagnato fino a casa sua. In qualche modo riuscì a spiegarmi la direzione da prendere per arrivare alla sua abitazione e quindi piano piano ci siamo incamminati.

Già' stava albeggiando quando giungemmo a destinazione, busso alla porta, si affaccia qualcuno e io chiedo se conoscono la persona che sta con me, che ho trovato disteso per terra lì nel bosco. Qualcuno dice: “” Si è nostro padre, ed eravamo proprio preoccupati della sua scomparsa.”” Bene dico io: “”Ora è qua sano e salvo.”” Metto nelle loro mani questa persona che felici di aver ritrovato il loro familiare immediatamente la fanno entrare in casa. Talmente la preoccupazione e la felicità di averlo ritrovato che chiudono la porta dietro di loro, lasciandomi lì davanti come una statua. Beh! Ho pensato tra me, almeno un ringraziamento avrebbero potuto darlo, d'accordo che in queste zone noi finanzieri non siamo ben visti per via dei controlli che facciamo, ma almeno un segno di riconoscimento...che diamine..!!!

Con questi pensieri, riprendo la via del ritorno anche per andare incontro al collega che già mi aspettava al punto prestabilito per rientrare al Reparto.

Racconto a lui dell'accaduto e anche lui amaramente commenta,:”” non te la prendere, sai come è la situazione in questi posti, la gente non ci vede di buon occhio per via della nostra attività, qui è gente che vive del contrabbando e noi non siamo ben accettati.””

Un poco rincuorato dalle parole del collega, accetto la situazione e il mio pensiero principale del momento è quello di depositare il sacco a pelo, e il moschetto e andare a riposare. La notte è stata lunga e stressante, francamente avevo un poco di stanchezza, non vedevo l'ora di andare a dormire.

Alzatomi dopo aver riposato le giuste ore mi accingevo per andare a pranzare, quanto un collega mi chiama e mi dice, che devo andare nella sala che ci sono due persone che mi cercano.
Indovinate che erano? Si era proprio la persona che avevo accompagnato a casa durante la notte e in sua compagnia c'era anche uno dei suoi figli che volevano ringraziarmi per il gesto compiuto nei confronti del papà e si scusavano se in quel momento non avevano dato a me attenzione, ma erano così frastornati e felici di aver ritrovato il familiare che non avevano pensato a me. Per disobbligarsi pertanto il figlio cerca di consegnarmi un busta con del denaro dentro. Al che io rifiuto immediatamente l'offerta, dicendo che non avevo fatto altro che il mio dovere di pubblico ufficiale e di cittadino. A me non spettava alcuna ricompensa io avevo solamente compiuto un “atto di umanità” che qualsiasi persona avrebbe fatto trovandosi nella mia situazione. Il figlio accettando la mia volontà rimette via la busta ma mi stringe calorosamente la mano e commosso mi ringrazia ancora. Lo stesso fa il padre e mi fa una promessa dicendomi che l'esperienza è stata davvero brutta e che in futuro cercherà di non alzare il gomito per ubriacarsi.

La mia permanenza a Bizzarone è stata breve, infatti dopo poco tempo mi arriva un altro ordine di rientro per la Brigata di Cavallasca/Colombirolino, da dove ero partito. Non ho gridato di gioia, né

di andare via da Bizzarone né di ritornare a Colombirolino.

I servizi erano ugualmente gravosi in entrambe le parti. L'unica consolazione era che tornavo dai miei compagni di sventura anche se con i ragazzi sardi avevo fatto amicizia e a loro dispiacque che me ne andassi via, come pure al comandante ma gli ordini bisognava eseguirli.