martedì 1 aprile 2008

Sensazioni

La mia prima assegnazione di reparto al termine del corso allievi terminato presso la Scuola Alpina non è stata tra le migliori, anzi devo dire che tra tutte le sedi in cui ho prestato servizio nella mia carriera, questa è stata la peggiore sotto tutti i punti di vista a cominciare dalla sistemazione logistica, dai servizi da svolgere, dal contatto con la gente del luogo, inesistente, dai non buoni rapporti con gli ufficiali superiori da cui dipendevo, insomma una situazione davvero critica.

Il reparto era situato proprio al ridosso del confine e per raggiungerlo bisognava percorrere circa due chilometri a piedi attraverso stradine di montagna in quanto tutto intorno non vi era altro che bosco.

Ho ancora impresso il ricordo di quando giovanissimo, neanche ventenne, dopo essere stato per poche ore di permesso nella vicina cittadina di Como al rientro in caserma mi aspettava dopo aver consumato una sbrigativa cena un bel turno di notte in perlustrazione in mezzo al bosco attraverso impervi sentieri. Ancora oggi sogno di attraversarli di notte al buio inciampando qua e là.


Percorrendo, al tramonto, da solo, a piedi il piccolo sentiero, unica via d'accesso, che conduceva alla caserma, un pensiero ricorrente aleggiava nella mia mente: “”Anche se incontrassi adesso un gruppo di contrabbandieri non avrei timore ad affrontarli. Posso benissimo intervenire, secondo gli insegnamenti avuti alla Scuola e senza avere paura di nessuno. Nonostante i disagi patiti tuttavia mi sento orgoglioso della mia condizione. Tu non devi mollare, devi stringere i denti, tanto qui in questo posto non ci starai per sempre. Vedrai che le cose cambieranno. Hai la possibilità ed il privilegio di indossare un uniforme di prestigio, di girare armato. Questo ti fa sentire importante e ti dà il coraggio, di affrontare anche situazioni difficili””.

Certo la mia condizione non era tra le migliori, pensando agli amici che avevo lasciato a casa, loro erano molto più liberi di me e potevano divertirsi molto più di me. Tuttavia al loro paragone mi sentivo più importante. Avevo un lavoro da svolgere e mi sentivo utile alla società per quello che facevo nonostante i disagi. Turni pesanti, sia di notte che di giorno, disciplina severa, controlli continui da parte dei Superiori.

La zona infatti era molto critica sotto il profilo della attività di contrabbando che veniva commesso a quei tempi tra la Svizzera e l'Italia.

Una sera di queste, mi accingevo ad uscire in pattuglia con il collega Marco (nome di fantasia).

Lui era nuovo del reparto, proveniente da un' altro posto di confine, ma lo rimpiangeva e ritrovarsi in questa nuova assegnazione lo aveva un poco demoralizzato.

Raccontava infatti che l'ambiente da dove proveniva era molto diverso, i contatti con la gente e con gli stessi superiori erano di gran lunga migliori di quelli trovati qui. Però nonostante tutto questo, doveva necessariamente essere disponibile per il nuovo incarico. Aveva qualche anno di servizio più di me e questo contava molto in quei posti. La sola differenza anche di mesi, faceva si che si doveva rispettare l'anzianità, tant'è che si veniva nominati capi pattuglia, anche se io al reparto vi ero da più tempo di lui.


Come persona non era un cattivo ragazzo, né arrogante e presuntuoso e non faceva pesare la sua condizione di anzianità. Avevamo fatto anche amicizia, ci rispettavamo, ma aveva sempre un poco di nostalgia del posto che aveva lasciato.

Aperta la busta contenente l'ordine di servizio si appresta a leggerlo: “”Perlustrazione con appostamento per la repressione del contrabbando in genere. Orario: 22/04, con la descrizione delle località da sottoporre a controllo e l'indicazione del tempo di permanenza. Come ultima destinazione vi è indicata la località: “Maslianico”, da raggiungere percorrendo i sentieri “vipere” e sentiero “dell'uomo morto”” Nomi abbastanza lugubri. Immaginate a percorrerli di notte in mezzo alla boscaglia che bell'effetto!

Data lettura all'ordine di servizio, Marco mi dice:””Mamma mia che incarico abbiamo da svolgere stanotte: Senti... io sono nuovo di qua e devo affidarmi alla tua esperienza per raggiungere questi posti”” Va bene rispondo: “”Ti guido io stanotte””.

Prendiamo la nostra roba consistente in un sacco a pelo per due, ci viene consegnato ad ognuno il moschetto mod. 9 prelevato dall'armeria e caricato con pallottole a mitraglia più la nostra arma di ordinanza, pistola automatica beretta calibro 9 che portiamo sempre con noi anche quando dovremmo essere fuori servizio.

Un commento sul sacco a pelo. Anche se il regolamento diceva che avremmo avuto facoltà di usarne uno ciascuno, chissà chi aveva dato una disposizione interna al reparto che ne permetteva l'uso di uno solo. La risposta era semplice, il comando aveva paura che se ci fossimo infilati dentro ad ognuno ci saremmo addormentati entrambi, a scapito del controllo che si sarebbe dovuto compiere.

Detto questo ci accingiamo a fare il nostro lavoro. La notte appare tranquilla, sino al momento di effettuare l'ultimo appostamento ma mentre ci incamminiamo per raggiungerlo ho come un presentimento, mi rivolgo a Marco e gli dico:

“”Ho la sensazione che qui debba accadere qualcosa, sento che con ogni probabilità ci sia del movimento e poi sembrerà inverosimile ma quando arriva al reparto uno nuovo, sempre accade che si sequestra della merce di contrabbando e quindi con molta probabilità potrebbe accadere anche stanotte. “”

Lui si fa una risatina e mi dice che anche da dove proveniva si pensava la stessa cosa.

Gli dico : “”Sai cosa dobbiamo fare? Invece di andare a metterci al solito posto, perché non cambiamo e ci spostiamo di qualche metro nascondendoci al di sotto del sentiero invece di stare di sopra. Ci separiamo, ma teniamoci ad una distanza di sicurezza in modo di riuscire a comunicarci a voce visto che non siamo dotati di apparati ricetrasmittenti.””” Lui annuisce confermandomi che andrà a sdraiarsi poco più avanti.

Deciso il da farsi ognuno di noi va a posizionarsi dove era stato stabilito.

Il tempo trascorre lentamente, non fa freddo, il cielo è limpido e ci troviamo a poca distanza dalla rete fiscale che separa la Svizzera dall'Italia, guardando sotto di noi si intravedono le luci del valico internazionale di Ponte Chiasso. Noi siamo abbastanza alti sulla costa della montagna e nelle nostre orecchie arriva l'impercettibile frastuono del movimento dei mezzi che attraversano la frontiera in entrata ed in uscita dalla Stato.

Ad un certo punto, comincio ad avvertire dei rumori, tendo bene l'orecchio e sento proprio il calpestio dei passi di persone che si stanno avvicinando al confine. Considerata l'ora di notte e il luogo in cui ci trovavamo non ci vuole nulla a capire che sono proprio gli “spalloni” (così venivano chiamate le persone che attraversavano il confine con sacchi di sigarette sulle spalle) che si apprestano ad effettuare il passo con il loro carico dopo essersi sincerati che la zona era libera da controlli.

La tecnica che usavano quando si accingevano a portare fuori dal confine svizzero sigarette di contrabbando consisteva in una preliminare perlustrazione del luogo di attraversamento per sincerarsi che nessuna pattuglia si trovasse nei paraggi, poi ad ogni certa distanza del sentiero che dovevano percorrere, mettevano uno di loro a fare da palo per segnalare eventuali pericoli.

Ci siamo, ho pensato, questa notte è buona per sequestrare le sigarette. Spero che non ci scoprano.

Come in effetti è stato, la mia idea aveva funzionato, loro infatti erano andati a guardare nel posto dove di solito la pattuglia si mette quando va in appostamento in quella zona e non avendo trovato nessuno hanno dato inizio alle operazioni.

Questo è un momento davvero critico e anche di una certa pericolosità, si trattava di intervenire a quell'ora di notte, in mezzo ad un bosco per reprimere un'azione illecita in due contro una probabile decina di persone. Generalmente tra noi e i contrabbandieri a quell'epoca vigeva come un codice di comportamento nel senso che era difficile arrivare ad atti violenti. Se loro venivano scoperti abbandonavano il carico e si davano alla fuga senza reagire. La legge ci imponeva di procedere al loro fermo ma non era facile, era gente che conosceva i luoghi perfettamente perché in genere erano persone che abitavano nei dintorni e si guadagnavano da vivere facendo questa attività. Per noi già era una soddisfazione di giungere in caserma con un carico di sigarette sequestrato. Ci dava prestigio ed una certa invidia da parte dei colleghi quindi evitavamo di procedere al fermo di persone, se non proprio in casi eccezionali.

Intanto il primo spallone era già entrato nel territorio italiano, lo vedo passare ad una distanza di qualche metro sopra di me, io ero sdraiato a pochi passi da lui, ma non si accorge di nulla, lo lascio passare, il metodo era quello di farli entrare quanto più possibile in modo da fermare più bricolle, non era facile, ma si tentava sempre questo espediente.

Arriva il secondo, decido di uscire alla scoperto e di mettermi dietro di lui seguendolo come un'ombra. Il sacco che ha sulle spalle gli impedisce di vedermi e non si accorge che lo pedino.

Per evitare di fare dei movimenti sbagliati, quasi divertito, sincronizzo il mio passo al suo, come quando ci si addestra in piazza d'armi per le parate militari e camminiamo in questo modo per un buon tratto di sentiero. Nel frattempo altri erano usciti e si trovano in cammino tra me e il collega che stava appostato dietro e sicuramente anche lui si era accorto del movimento e aspettava un mio cenno per intervenire. Ma io ancora non mandavo alcun segnale, continuavo a seguire lo spallone ma ad un certo punto, del percorso ecco che intravedo nell'oscurità una persona vicino o addirittura appoggiata ad un albero, era il “palo”. Sicuramente stava là apposta per segnalare eventuali nostre presenze. Continuando a camminare ci avviciniamo a lui e lo superiamo, vedo che lui gira la testa e dice qualcosa in dialetto stretto della zona all'uomo che io stavo pedinando, e intanto mi osserva perplesso e sbigottito ma in un primo momento non capisce chi possa essere questo individuo che cammina dietro al suo compagno senza alcun carico. Dopo qualche metro, però, sento che comincia a gridare segnalando il pericolo. Oramai siamo scoperti e dobbiamo intervenire segnalando la nostra presenza. Si verifica un fuggi fuggi generale, ma qualcosa viene abbandonato per terra prima di scappare. L'uomo che stavo pedinando si sbarazza del carico gettandolo a terra e fugge via precipitosamente. Io per il momento lascio la bricolla per terra e mi preoccupo di andare di corsa a dare aiuto al collega che nel frattempo era intervenuto anche lui . I questa fase concitata insomma riusciamo a recuperare nel buio della notte tre bricolle di sigarette di contrabbando del peso di 20 Kg. ciascuna. Non era il massimo, ma bisogna considerare che eravamo solo in due, senza l'ausilio del cane, e che il collega era in uno dei suoi primi servizi intrapresi in questo reparto e non era ancora pratico dei sentieri e quindi doveva muoversi con una certa cautela per non cadere in qualche buca o sbattere contro qualche ramo o albero e ferirsi. Non sarebbe stata la prima volta che rientravamo con contusioni e graffi su tutto il corpo ma per fortuna non gravi. Io forse meglio di lui ero più abituato ad agire di notte in mezzo a quel bosco ed a quei sentieri. Lo raggiungo e gli chiedo come è andata. Lui tra l'eccitazione e la gioia di avere fermato il suo primo carico mi dice: “”Bene bene mi hanno mollato qua due sacchi.”” “”Allora ritorno a prendere l'altro””, gli dico, sperando di ritrovarlo in questo buio. Infatti stava ancora là.

Beh! Tutto sommato il nostro risultato di servizio quella notte lo avevamo fatto.

Dico a Marco: “” Hai visto? Che avevo ragione? La mia sensazione era giusta? Tu stanotte hai portato fortuna, ma anche noi ce la siamo procurata, perché se andavamo a metterci ai soliti posti quasi sicuramente ci avrebbero scoperto e non avrebbero fatto nulla di nulla.”” Lui sprizzava contentezza da tutte le parti. Mi dice: “” Capperi avevi ragione””.

Certo che in qualità di capo pattuglia e responsabile del servizio ebbe il plauso di tutti i colleghi e del comandante, ma lui nei miei confronti dopo quella volta ebbe sempre una sorta di ammirazione e di rispetto e per tutto il tempo della nostra permanenza al reparto sempre ricordava quell'episodio apprezzando in me l'inventiva e il modo coraggioso con cui l'avevo portato a termine.

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