martedì 11 marzo 2008

Frustrazione


Dopo un periodo di servizio trascorso in un Reparto cosiddetto “ordinario“ situato nella provincia milanese, riesco ad ottenere un trasferimento per una sede diversa sempre situata nella zona lombarda.

Finalmente era stata esaudita una mia aspirazione che ambivo da anni.

A causa di questo importante passaggio mi sono rimasti impressi fatti, situazioni, stati d'animo che voglio qui descrivere.

L'identificazione precisa dei luoghi e delle persone con cui ho avuto contatti non hanno molta importanza ai fini del racconto ma quello che conta è ciò che ho sentito dentro di me affrontando l'esperienza del cambiamento e spero che con questa mia scelta di non sminuire la forza del racconto.

All'epoca in cui narro la vicenda il tipo di sede in cui avrei dovuto essere impiegato era considerata il fiore all'occhiello della nostra Amministrazione in termini di efficienza operativa. Chi aveva voglia di lavorare e migliorare la sua qualificazione professionale ne voleva fare sicuramente parte.

Al giorno d'oggi forse altri Uffici sono sorti in seno alla nostra organizzazione per contrastare nuove forme di evasione e lotta sia al contrabbando che alla criminalità organizzata ma ancora quel tipo di Reparto è molto ambito da tutti gli appartenenti.

Tutti i poteri che la legge italiana attribuisce al Corpo in termini di controllo al sistema economico- finanziario del Paese sono messi in atto attraverso questa emanazione con gli strumenti e con i mezzi necessari allo scopo. Anche la preparazione del personale che vi fa parte è di ottimo livello Questo non per sminuire le capacita di chi opera in Reparti, cosiddetti ordinari ma l'organizzazione interna di questa struttura è finalizzata unicamente a perseguire il controllo su ogni manifestazione della vita economica del Paese affrontando le problematiche secondo una organizzazione molto valida.

Sin dai tempi della Scuola Sottufficiali l'obiettivo finale per tutti gli allievi era di riuscire ad entrare a lavorare per questo tipo reparto. Chi si qualificava nei primi posti della graduatoria finale stilata al termine della prima parte dei corsi veniva scelto e mandato a queste sedi.

Non voglio fare un trattato sulla loro operatività ma la loro competenza territoriale si sviluppa in questo modo: provinciale, regionale e centrale.

Così che molti dei miei compagni al termine del tirocinio ebbero questa assegnazione, con molta invidia da parte mia. Ma devo fare un “mea culpa“ perché tutto è dipeso esclusivamente dalla mia mancanza di impegno nello studio, almeno nella prima parte. All'epoca in cui frequentai io infatti il periodo di addestramento era suddiviso in due parti. Il primo, della durata di circa 9 mesi era dedicato all'insegnamento dell'arte militare oltre che all'apprendimento delle materie economico-amministrative.

La seconda parte, della durata anch'essa di altri nove mesi era volta all'insegnamento specifico delle materie economico finanziarie. Ma quello che valeva ai fini dell'assegnazione era proprio la stesura della graduatoria alla fine del primo corso. Cosa in cui io non brillai molto a causa della mia negligenza e scarsa voglia di studiare. A nulla valse il mio ravvedimento nella seconda parte che mi portò ad avanzare di almeno un centinaio di posti nella seconda graduatoria ma questo mio sforzo non mi fece rientrare tra quelli prescelti. Comunque mi servì lo stesso perché mi permise di affrontare il servizio reale con una certa infarinatura teorica. Ero comunque riuscito a capire che lo studio fatto in un certo modo dava soddisfazione.

Così che fui assegnato ai Reparti Ordinari del Corpo e dovetti fare diciamo una “gavetta“ di diversi anni prima di veder esaudito questo mio desiderio, aspettando il momento opportuno per ritentare di fare anch'io parte di questa istituzione.

Nel frattempo avevo fatto esperienza nei reparti ordinari dove se un soggetto aveva voglia di elevare la sua qualificazione professionale, non mancava occasione di poterlo fare.

Il mio pensiero tuttavia era sempre di riuscire un giorno ad entrare in una di queste strutture.

Farne parte significava avere ampi poteri a larga autonomia d'intervento ad iniziare dall'uso in servizio dell'abito civile e non più indossare l'uniforme se non in casi particolari. Uno speciale tesserino abilitava il possessore ad entrare in qualsiasi locale pubblico o sede di azienda per effettuarne i controlli. Queste peculiarità nel nostro ambiente erano molto apprezzate specialmente nei più giovani che volevano emergere e fare esperienze di servizio.

Così il giorno tanto desiderato arriva attraverso un ordine di trasferimento d'ufficio per una di queste sedi.

Devo dire che in questo sono anche stato aiutato da un collega anziano che per motivi di lunga permanenza proprio in uno di questi reparti era stato trasferito e si trovava a fare il suo periodo di interruzione nella sede dove ero io.

Un giorno mi dice: “”Vedo che sei giovane ti comporti bene in servizio ed hai voglia di fare, ti disimpegni bene anche a dattilografare con dieci dita con la macchina da scrivere, perché non te ne vai a reparti speciali dove lì potrai fare migliori esperienze?””

Questo incoraggiamento mi fece davvero bene e gli dissi che molto volentieri sarei andato in una di queste sedi. Allora disse : “”Se vuoi posso interessarmi io e farti fare magari un trasferimento d'ufficio così otterrai anche il rimborso della trasferta.””

Se crede di poterlo fare dissi: “”Molto volentieri accetterò””

Fu di parola e dopo poco tempo io potevo lasciare quella sede per il reparto tanto agognato.

Non è il primo trasferimento della carriera che effettuo e quindi ancora una volta mi accingo a salutare i colleghi del reparto, con una punta di malinconia. Sono circostanze queste che in fondo toccano l'animo di una persona, in quanto per un certo periodo di tempo hai condiviso insieme a loro buoni e cattivi momenti, ma bisogna andare. Carico l' automobile di tutte le mie cose personali e parto per la nuova assegnazione. La distanza non è molta un'ora, un'ora e dieci minuti. Il tempo per fare una sorta di bilancio della mia attività svolta in questa sede, che tutto sommato, non era poi così male.

Nel posto che lasciavo avevo fatto tesoro della esperienza di colleghi più anziani di me allorquando mi trovano con loro a svolgere qualche importante controllo.

Anche io però godevo di autonomia operativa in quanto essendo sottufficiale e avendo fatto servizio prima in un importante valico di confine internazionale il Comandante mi aveva dato fiducia e mi assegnava incarichi anche di una certa rilevanza da svolgere come responsabile. Uscivo infatti con altri militari alle mie dipendenze a compiere tutte le mansioni che erano previste dall'ordinamento di quel Comando.

Comunque pensavo tra me: “”Spero di non deludere ora che andrò a fare parte di una struttura molto particolare ed impegnativa e dovrò impegnarmi molto di più di come ho fatto sin d'ora.””.

Con questi pensieri giungo al nuovo reparto. Parcheggio la mia automobile all'interno di un vasto cortile e guardando la facciata mi rendo conto che la Caserma che avevo lasciato era davvero molto piccola rispetto a questo stabile.

Nell'edificio vi erano tre Comandi di cui uno su tutti aveva il controllo logistico-territoriale sugli altri. Due erano in sede tra i quali quello dove sarei andato io più altri reparti che si trovavano nella provincia.

Quello dove io avrei dovuto prendere servizio aveva una sua un'autonomia operativa propria con giurisdizione sulla città e su tutta la provincia ed era retto da un ufficiale. Sulla carta ed in teoria il suo organico avrebbe dovuto essere composto da circa ottanta elementi, ma di effettivi se ne contavano solamente una quarantina.

Un bel numero se penso a quella poca decina di persone che avevo lasciato nel precedente reparto.

Entro nello spazioso atrio e mi rivolgo al militare che faceva servizio davanti alla porta d'ingresso presentandomi e dicendogli che ero un nuovo giunto e che ero stato assegnato al reparto operativo. Gentilmente il militare mi dice di aspettare un attimo che sarebbe andato ad avvertire gli uffici competenti ed a informarsi in quale camera avrei dovuto alloggiare. A quel tempo ancora non ero sposato e quindi mi spettava un letto in una camera della caserma.

Ringrazio e acconsento ad aspettare in questo atrio assorto nei miei pensieri, quando qualcosa attira la mia attenzione. Mi sento chiamare:

“”Ei brigadiere, cosa fa lì impalato nell'atrio? Non saluta il suo Superiore? Non sa chi sono io? Si presenti. Io qua sono il comandante di tutto, lei come si chiama, da dove viene?.””

Impietrito accenno ad una forma di saluto militare e guardando il grado di questo ufficiale capisco che è un tenente colonnello. Gli rispondo dicendogli il mio nome, cognome, grado e reparto di provenienza informandolo della mia nuova assegnazione e che ero appunto in attesa di istruzioni.

“”Ah! lei è un nuovo giunto”” guardandomi con due occhi freddi e spalancati. Stava per ricominciare il suo rimbrotto quando fortunatamente mi salva l'entrata nell'atrio di una donna, che dopo ho saputo essere la moglie di un ufficiale. All'apparire di questa signora, infatti lui mi dice altezzosamente: “”Bene, brigadiere si accomodi là che poi ne parliamo””. Mi indica una saletta posta nell'atrio e si allontana tutto ossequioso verso quella donna.

Io rimango impietrito, istupidito, allibito, da simile accoglienza, e mi chiedo : “”Ma dove sono capitato?””

Un collega si avvicina a me e mi batte una mano sulla spalla, dicendomi: “”Ei non ci fare caso, quello è il comandante di tutta la caserma ed è il suo modo di fare. Qua tutti lo chiamiamo “Il Tigre”. Nome più appropriato non potevano trovare! Ma fa sempre cosi con tutti chiedo io? Si, si risponde quello, anche peggio...e ridendo e si allontana.

Ancora sono smarrito e comincio ad avere come un moto di stizza pensando tra me, certo che questa accoglienza non me la sarei mai aspettata.

Nel frattempo mi sento chiamare e mi viene indicato che devo presentarmi dall'ufficiale responsabile della mia nuova assegnazione che nel frattempo era stato informato della mia presenza.

Mamma mia !! ho pensato, adesso mi prendo un'altra lavata di testa come prima.

Mi accompagnano fino alla porta del suo ufficio poi il militare si allontana, io busso, attendo che mi si dica di entrare. Una volta entrato saluto militarmente essendo in uniforme, mi qualifico, nome cognome, grado e reparto di provenienza.

Quello che vedo nel frattempo in quel momento non mi sembra reale. La stanza è buia, c'è una lampada da tavolo sulla scrivania che illumina solo una porzione di questa e dietro il mobile intravedo seduta una persona in abito civile con una vistosa maglia di lana addosso, con una specie di papalina in testa e con i piedi appoggiati su una pedana ricoperta con dei giornali.

Mi dice: “Fa freddo e bisogna coprirsi, se mi ammalo io qua chi porta avanti la baracca?””

Vedendo questa scena mi venne subito in mente quella di molti anni prima quando da ragazzo assistetti ad un film il cui titolo era: “L'uomo del banco dei pegni”. Mi sembrava di rivedere quel personaggio, la figura dell'ebreo dietro il banco dei pegni.

Dove sono capitato? Mi chiedevo tra di me.

Allora, esordisce: “”Vedo qua che vieni da ......e fa il nome del mio reparto di provenienza,.””

Scambia con me poche parole, in quanto era un momento poco opportuno. Era l'orario in cui doveva dare udienza a tutte le pattuglie che dovevano fare il rapporto serale e quindi non poteva darmi molta attenzione.

Bene mi dice:”” Per adesso vai a sistemarti nella cameretta che ti hanno assegnato e domattina all'orario di apertura dell'ufficio ripresentati qua per vedere dove ti posso collocare””. Rifaccio il saluto militare ed esco dall'ufficio, con un gran senso di nausea.

Ero ancora impaurito del trattamento avuto con il tenente colonnello comandante.

Fortunatamente invece con questa persona le cose sono andate un poco diversamente ma non è che abbia avuto un'accoglienza trionfale. Ho avuto l'impressione che gli avessi quasi dato fastidio per il fatto di essere stato assegnato al reparto da lui diretto.

Al mattino seguente, quindi come stabilito, mi ripresento all'ufficio del comandante, busso, quando mi dice di entrare, apro la porta e dico buongiorno, ma non faccio il saluto militare in quanto mi ero già messo in abito civile. Ho pensato, sono al reparto che offre questa possibilità di andare in servizio in abiti borghesi e quindi perché non approfittarne?.

Niente di più sbagliato. Appeno entro infatti, la prima cosa che mi dice: “”Ah ti sei messo già in abiti civili?” Come per dire non vedevi l'ora di farlo ma almeno potevi chiedere il permesso...

Mi chiede:”Allora di cosa ti occupavi nel precedente reparto” Io gli dico che avevo fatto una certa esperienza un po' su tutti i settori, dal controllo fiscale alle aziende e pubblici esercizi ai controlli anti contrabbando, ai controlli al codice della strada, insomma un poco di tutto.

Al che lui annuisce, resta un attimo in silenzio, poi mi dice: “”Bene per ora sei assegnato alla prima sezione che si occupa di anti contrabbando e controllo sulle imposte di fabbricazione con particolare riferimento agli oli minerali. Quindi per oggi sarai affiancato dall'autista Moreli (nome di fantasia). Cercalo e digli di fare il pieno di benzina all' Alfetta e nell'ordine di servizio indicate che sarete per un giro conoscitivo nella circoscrizione del reparto.

Il che voleva significare che bisognava girare per tutta la città e per tutta la provincia per una durata di dodici ore a bordo di un'autovettura da inseguimento con un autista, che tutto sommato anche abbastanza disponibile, ma mezzo matto che guidava in modo orrendo. Nel traffico cittadino, faceva venire il voltastomaco, con le ripetute frenate e sgommate.

città

Andiamo bene ho pensato tra me e me!. Oggi sarà proprio una bella giornata, come inizio non c'è male. Qua invece di andare avanti e progredire nella mia qualificazione professionale andremo a regredire. Mi aspettavo infatti una diversa assegnazione, un incarico di un certa levatura professionale, invece ancora una volta dovevo intraprendere servizi che avevano a che fare con la lotta al contrabbando. Pazienza, mi sono detto, ma francamente mi sarei aspettato un modo diverso di intraprendere la mia nuova attività, invece come primo approccio di tutto quello che mi è accaduto in quelle due prime giornate mi ha fatto rimpiangere il vecchio reparto che avevo lasciato. In quella sede infatti tutto veniva effettuato con una certa tranquillità e pacatezza al contrario di quanto ho potuto constatare in questi primi momenti di nuova assegnazione.

Ancora mi sono detto: “”Probabilmente dovrò fare un periodo di tirocinio per passare a cose migliori.””

Illusione la mia, per farla breve, nonostante le difficoltà iniziali e non, oramai ero entrato in questa nuova realtà e anche per un orgoglio personale, non sono più tornato indietro nel senso che avrei potuto rinunciare a questo incarico e tornarmene da dove ero partito. Ma non l'ho fatto.

Morale della favola, in questo reparto ci sono rimasto dentro per 21 anni e non sono state tutte rose e fiori. Momenti tristi ne ho passati diversi ma come in tutte le cose che si intraprendono nella vita bisogna saper reagire e non farsi prendere dallo scoramento, dalla delusione, dalla depressione. Le soddisfazioni sono poi venute, ma nel tempo e per ottenerle ho dovuto sudarmele. Ma questo può essere argomento di altro racconto

sabato 1 marzo 2008

Atto di umanità.

Questa storia è tratta dai miei ricordi oramai lontani nel tempo ma ancora vivi in me come se fossero accaduti di recente.

Tutto ebbe origine da un ordine di trasferimento temporaneo nel quale si diceva che dovevo raggiungere un reparto in un'altra località sempre a ridosso del confine Italo – Svizzero.

La motivazione esatta di questo mio movimento non l'ho mai saputa, ma con una certa dose di attendibilità, presumo che sia da attribuire ad una sorta di punizione.

Mi spiego.

Nel posto dove mi trovavo, che non consiglierei nemmeno al mio peggior nemico, prima di essere trasferito, prestavo unitamente a tutti i componenti il reparto, turni di servizio pesantissimi, ad ogni ora del giorno e della notte, dovevamo uscire in perlustrazione per il controllo del confine per reprimere eventuali reati di carattere fiscale e non.

Nonostante i notevoli disagi cui eravamo sottoposti, eravamo anche oggetto di continue ispezioni da parte degli ufficiali superiori. Durante una di queste azioni ispettive, si verificò un problema sulla localizzazione della pattuglia di cui facevo parte, in quanto nel posto e nell'ora che l'Ufficiale riteneva di trovarci, noi non c'eravamo. Mi furono chiesti chiarimenti scritti su questo episodio, che io giustificai cercando di spiegare che il mio incarico, quel giorno, secondo il mio punto di vista, era stato svolto correttamente rispettando gli orari e i percorsi indicati nell'ordine di servizio. Evidentemente le mie argomentazioni non convinsero molto, l'ufficiale, ma non avendo egli elementi sufficienti per infliggere delle sanzioni disciplinari si limitò ad emettere un ordine di trasferimento temporaneo con destinazione: “Bizzarone”, cioè un'altra località il cui territorio era sempre confinante con la Svizzera.

Non sto a descrivere nei minimi particolari la figura di questo ufficiale, ma un accenno sul suo comportamento lo devo fare.

Era considerato l'incubo dei reparti che visitava, effettuava continuamente ispezioni, giorno e notte e al solo sentire nominare il suo nome, il personale veniva preso dal panico. Era molto incline ad emettere provvedimenti disciplinari per quei militari che secondo la sua logica riteneva che non rispettassero sia i regolamenti che le consegne di servizio e quindi fioccavano le punizioni.

Questo era lo scotto da pagare per chi sfortunatamente, a quel tempo, ebbe assegnata la zona di confine tra l'Italia e la Svizzera. Considerata a rischio, sotto il profilo della illecita attività contrabbandiera era incessantemente monitorata dai comandi superiori in considerazione del fatto che il personale occupante le caserme era troppo giovane ed inesperto in quanto la quasi totalità proveniva direttamente dai reparti di istruzione. Tutta gente fortemente motivata, con una gran voglia di entrare in gioco e mettere in pratica tutte le nozioni apprese all'Istituto. Purtroppo un conto era la teoria altro era la pratica e quindi tutta questa gente giovane ed inesperta obbligata a svolgere incarichi molto delicati, con la possibilità non remota di trovarsi anche di fronte alla necessità di far uso delle armi in zona di vigilanza doganale aveva bisogno di essere controllata e seguita.

Per questi motivi tutta la zona era allertata, affinché non accadessero incresciosi episodi violenti, tra chi commetteva questi reati e i militari in servizio. Evidentemente non bastava essere animati da tanti buoni propositi e da tanto coraggio, ma ci voleva anche tanta esperienza che era quella che mancava ai tanti giovani che si trovavano a prestare servizio in quei luoghi.

Tornando quindi al mio trasferimento devo dire che questa cosa mi seccò molto, ho sempre avuto una avversione ad essere avvicendato, è una cosa che non sopportavo, eppure nel nostro ambiente era una prassi usuale, e non c'era verso di evitarlo. Era un'arma che i comandi usavano quando, dove e come volevano. Il povero malcapitato oggetto di questa attenzione, doveva in silenzio ubbidire e di buon grado apprestarsi ad effettuare il movimento. Fintanto che uno non era ammogliato, poteva anche andare bene, ma immaginate a quali disagi e complicazioni sarebbe andata incontro una famiglia intera, con figli in età scolastica o lavorativa. Eppure bisognava accettare pena il rischio di sanzioni o addirittura essere congedati e perdere il posto.

Comunque dovetti accettare mio malgrado l'ordine. Anche se il luogo che lasciavo era a dir poco pessimo, mi dispiaceva abbandonare i colleghi con i quali avevo familiarizzato. Sembra inverosimile, ma la solidarietà con la gente e l'amicizia, si ottiene sempre nelle condizioni più disagiate e il cameratismo si sente più forte. Anche se i contrasti tra di noi venivano alla luce, ma sostanzialmente ci rispettavamo e se potevamo ci aiutavamo uno con l'altro cercando di superare i molti momenti tristi della nostra vita in quel reparto. Tanto la speranza era che un giorno o l'altro saremmo stati avvicendati. Era previsto infatti che dopo aver compiuto un certo periodo di tempo a svolgere il servizio in quelle zone, o a domanda o d'ufficio potevamo essere trasferiti.

Bizzarone, dunque, questa località è situata nella provincia di Como al confine con la Svizzera, all'epoca aveva una circoscrizione molto ampia, bisognava controllare circa tre chilometri di rete di confine, aveva due valichi di frontiera, uno pedonale ed uno stradale. I servizi quindi erano abbastanza impegnativi.
Ai tempi in cui mi trovavo là, la zona era fortemente a rischio di traffici illeciti tra la Svizzera e L'Italia. Vi erano generi quali le sigarette, il caffè, la saccarina, gli orologi, l'oro, i diamanti ed altri prodotti sottoposti in Italia a regime di monopolio che in Svizzera era più conveniente acquistare ma per essere regolarizzati in Italia dovevano sottostare al pagamento di diritti doganali. Questa pratica generalmente non veniva adottata e sia la gente del luogo che altri si preferivano evitare questi obblighi importando clandestinamente la merce.

Per farlo, venivano escogitati tutti gli espedienti possibili ed immaginabili. Si attraversava il confine a piedi violando la protezione delle rete fiscale che lo Stato Italiano avevo posto per arginare il fenomeno, ma come deterrente non valeva molto.

Ad ogni ora del giorno e della notte, la frontiera veniva violata. Era una constatazione di fatto in quanto dalle perlustrazioni che venivano effettuate ci accorgevamo dei buchi alla rete che venivano praticati, e sapendo come queste cose, andavamo di pattuglia muniti di filo di ferro e tenaglie per cercare di riparare le maglie della rete bucata. Altri modi per importare merce nel nostro territorio erano quelli di attraversare i valichi di frontiera, occultando il carico negli autoveicoli, o qualsiasi altro mezzo di locomozione, oppure se si trattava di merce non molto voluminosa questa veniva nascosta anche addosso alla persona stessa. Quando avevamo sospetto che qualcuno, uomo o donna che fosse avesse addosso merce di contrabbando, questa veniva accompagnata nell'apposito locale dove veniva perquisita e molte volte l'esito era positivo.

I servizi erano alternati sia al valico pedonale che a quello autostradale più i pattugliamenti lungo la zona di confine dove stava la rete fiscale.

Nonostante la malinconia che mi aveva preso a causa del trasferimento di buon grado mi ero messo a fare il mio dovere anche in quel posto al punto che una sera mentre ero di servizio al valico stradale riesco, così ad intuito, ad individuare un comportamento anomalo di una persona che a piedi transitava dalla Svizzera all'Italia. Lo faccio accompagnare nella sala delle visite e qua emerge durante la perquisizione personale che aveva nascosto sotto la camicia un corpetto, ove era occultata della saccarina. Questo episodio mi fece ottenere le grazie del comandante del reparto additandomi ad esempio per tutti gli altri colleghi.

“Avete visto? Diceva:, “”neanche una settimana che si trova qua a fare servizio ed ha già' fatto un risultato, prendete esempio da lui e metteteci impegno quando andate al valico””. Io lusingato da questo trattamento, in tutto il periodo della mia permanenza nel reparto ho sempre cercato di non deludere le aspettative del comandante cercando di impegnarmi molto nello svolgimento dei miei compiti. A volte anche una semplice parola di elogio ti dà quel senso di gratificazione che ti aiuta a fare bene il proprio lavoro.

Il reparto era composto da una quindicina di militari la gran parte erano di origine sarda, Orrù, Macis, Piras, Madeddu ecc. Per scherzo veniva chiamata la “Brigata Sassari”, per via delle origini della quasi totalità dei componenti. Per chi non lo sapesse la Brigata Sassari è una formazione di fanteria dell'Esercito Italiano di stanza in una località della Regione Campania e quindi non ha nulla a che fare con il nostro reparto ma io ed altri, per scherzo e per battute, alla Brigata di Bizzarone le avevamo affibbiato quel soprannome.

Questi Sardi tra di loro erano molto uniti. Io li rispettavo e loro rispettavano me. L'uomo sardo è un tipo che se ti diventa amico è amico vero. Hanno uno spiccato senso dell'amicizia, del dovere, e dell'onore ma guai a non essere leale nel comportamento nei loro confronti, allora ti trovi di fronte il peggior nemico. Comunque non ho avuto problemi ad essere accettato come nuovo componente del reparto anche se non facevo parte della loro Regione. Nei loro riguardi non ho mai avuto problemi, probabilmente ero entrato nelle loro simpatie e tutto procedeva regolarmente.

I turni di servizio si avvicendavano con regolarità, perlustrazioni lungo la rete di confine, servizio al valico pedonale e stradale. Il paese offriva poche distrazioni, e ai tempi vigeva la regola, un po' anacronistica, che ci imponeva di non familiarizzare con le gente del luogo per evitare di essere oggetto di corruzione a causa dell'attività di contrabbando che alimentava quei luoghi di confine. Perciò quei pochi momenti liberi che avevamo dovevamo prendere l'autobus e spostarci in altre località. La città più vicina era Como e quindi per avere un po' di distrazione, ci dovevamo recare là.

Una sera, d'inverno, accadde un episodio curioso, mentre eravamo in attesa di uscire di pattuglia, la stufa a legna era accesa, e qualcuno tagliava fette di pane che faceva abbrustolire sulla piastra, poi con un poco di formaggio sardo e olio d'oliva spalmato sopra, le gustavamo chiacchierando del più e del meno in attesa dell'orario di uscita per intraprendere il servizio. Ad un certo punto sbuca da non so dove un topolino, che forse attirato dall'odore del formaggio si era messo a passeggiare per la stanza. Uno di questi colleghi sardi appena vide il topolino gli lanciò contro il coltello che aveva in mano. Fatalmente l'utensile andò a conficcarsi proprio con la punta, sulla parete di legno a pochi centimetri dal topolino. Sbigottiti ci siamo guardanti in faccia e ci siamo messi tutti a ridere, per quella azione, nemmeno al cinema si vedono queste cose riuscire così bene. Divertiti chiedemmo all'autore di questa azione se per caso lui prima di essere arruolato era stato lanciatore di coltelli vista l'abilità che aveva dimostrato nel maneggiare quell'aggeggio.

Lui logicamente rispose di no dicendo che era stato un puro caso che si fosse conficcato in quel modo a pochi centimetri dal topolino che impaurito subito scomparve.

Dopo questo simpatico episodio, era giunta l'ora di intraprendere i servizi cui eravamo demandati, chi doveva andare al valico pedonale, chi a quello stradale, io quella notte dovevo uscire di pattuglia con un collega, sardo logicamente, a perlustrare la rete di confine e reprimere eventuali azioni di contrabbando.

Nonostante io ero ancora nuovo del posto, il collega mi dice:

“”Se vogliamo riuscire a fare qualche risultato di servizio, ovvero se vogliamo sequestrare qualche “bricolla” di sigarette, questa notte ci dobbiamo separare, tu ti fermi in questa posizione io vado più avanti...Se vedi qualcosa di anomalo in qualche modo dammi qualche segnale, io farò altrettanto. Quando scadrà il turno ritorna per la strada che abbiamo fatto e ci incontriamo all'incrocio di quel sentiero”” Dandomi l'indicazione e il nome di quel posto che si trovava nei pressi del reparto.

Io non avevo altra scelta e per dimostrare a lui che non avevo alcun timore a rimanere da solo, di notte, in mezzo ad un bosco, che non conoscevo, ho accettato questa situazione. Anche se devo dire che una certa apprensione l'avevo. Nonostante fossimo armati di moschetto e pistola d'ordinanza, il rischio e l'imprevisto era sempre in agguato.

Così, quella notte trascorsi tutto il turno di servizio, sdraiato per terra, dentro il sacco a pelo, e ad ogni rumore sospetto tendevo le orecchie e aguzzavo la vista per individuare se erano persone o animali notturni che si muovevano nel bosco.

Allo scadere del turno, arrotolo il sacco a pelo, prendo il moschetto e comincio a riprendere la strada di ritorno, cercando di ricordare da quale parte ero venuto, perché niente di più facile era perdersi di notte nel bosco e non avendo apparati radio con noi con cui comunicare la posizione diventava problematico il rientro a meno di non aspettare che facesse giorno.

Io nonostante questi pensieri, mi metto in cammino, quando ad un certo punto del sentiero, vedo una massa scura per terra a pochi metri da me. Un brivido mi corre lungo la schiena, ancora non riuscivo a distinguere bene cosa poteva essere. Penso, magari è qualche contrabbandiere. Lentamente mi avvicino, e con mio grande stupore vedo che per terra c'era un uomo, che si lamentava, mi chino su di lui, e faccio per chiedergli qualcosa, chi fosse a da dove venisse, ma subito capisco dall'odore del suo alito che era una persona ubriaca che molto probabilmente era stata colta da malore e si era persa nel bosco.

In qualche modo riesco a farlo alzare, e a farlo appoggiare su di me. Lui mi dice balbettando che si era sentito male, ed era caduto per terra e non sapeva da quanto tempo si trovava in quella situazione. Al che io gli chiedo se si ricordava dove abitasse che lo avrei accompagnato fino a casa sua. In qualche modo riuscì a spiegarmi la direzione da prendere per arrivare alla sua abitazione e quindi piano piano ci siamo incamminati.

Già' stava albeggiando quando giungemmo a destinazione, busso alla porta, si affaccia qualcuno e io chiedo se conoscono la persona che sta con me, che ho trovato disteso per terra lì nel bosco. Qualcuno dice: “” Si è nostro padre, ed eravamo proprio preoccupati della sua scomparsa.”” Bene dico io: “”Ora è qua sano e salvo.”” Metto nelle loro mani questa persona che felici di aver ritrovato il loro familiare immediatamente la fanno entrare in casa. Talmente la preoccupazione e la felicità di averlo ritrovato che chiudono la porta dietro di loro, lasciandomi lì davanti come una statua. Beh! Ho pensato tra me, almeno un ringraziamento avrebbero potuto darlo, d'accordo che in queste zone noi finanzieri non siamo ben visti per via dei controlli che facciamo, ma almeno un segno di riconoscimento...che diamine..!!!

Con questi pensieri, riprendo la via del ritorno anche per andare incontro al collega che già mi aspettava al punto prestabilito per rientrare al Reparto.

Racconto a lui dell'accaduto e anche lui amaramente commenta,:”” non te la prendere, sai come è la situazione in questi posti, la gente non ci vede di buon occhio per via della nostra attività, qui è gente che vive del contrabbando e noi non siamo ben accettati.””

Un poco rincuorato dalle parole del collega, accetto la situazione e il mio pensiero principale del momento è quello di depositare il sacco a pelo, e il moschetto e andare a riposare. La notte è stata lunga e stressante, francamente avevo un poco di stanchezza, non vedevo l'ora di andare a dormire.

Alzatomi dopo aver riposato le giuste ore mi accingevo per andare a pranzare, quanto un collega mi chiama e mi dice, che devo andare nella sala che ci sono due persone che mi cercano.
Indovinate che erano? Si era proprio la persona che avevo accompagnato a casa durante la notte e in sua compagnia c'era anche uno dei suoi figli che volevano ringraziarmi per il gesto compiuto nei confronti del papà e si scusavano se in quel momento non avevano dato a me attenzione, ma erano così frastornati e felici di aver ritrovato il familiare che non avevano pensato a me. Per disobbligarsi pertanto il figlio cerca di consegnarmi un busta con del denaro dentro. Al che io rifiuto immediatamente l'offerta, dicendo che non avevo fatto altro che il mio dovere di pubblico ufficiale e di cittadino. A me non spettava alcuna ricompensa io avevo solamente compiuto un “atto di umanità” che qualsiasi persona avrebbe fatto trovandosi nella mia situazione. Il figlio accettando la mia volontà rimette via la busta ma mi stringe calorosamente la mano e commosso mi ringrazia ancora. Lo stesso fa il padre e mi fa una promessa dicendomi che l'esperienza è stata davvero brutta e che in futuro cercherà di non alzare il gomito per ubriacarsi.

La mia permanenza a Bizzarone è stata breve, infatti dopo poco tempo mi arriva un altro ordine di rientro per la Brigata di Cavallasca/Colombirolino, da dove ero partito. Non ho gridato di gioia, né

di andare via da Bizzarone né di ritornare a Colombirolino.

I servizi erano ugualmente gravosi in entrambe le parti. L'unica consolazione era che tornavo dai miei compagni di sventura anche se con i ragazzi sardi avevo fatto amicizia e a loro dispiacque che me ne andassi via, come pure al comandante ma gli ordini bisognava eseguirli.


Triste notte


Proverò a costruire un minimo di racconto per questa angosciante vicenda.

Sono passati molti anni da quel giorno e l'episodio che tento di narrare mi torna abbastanza offuscato, vuoi per il tempo trascorso. vuoi anche per una sorta di rimozione dalla mia mente.

In quel periodo mi trovano a svolgere il mio servizio al Valico Internazionale del Passo del Brennero ai confini tra Italia ed Austria, una porta aperta verso tutta l'Europa Continentale e già a quel tempo il transito sia civile che commerciale era notevole.

Il passo si trova ad una altitudine di 1.372 metri sul livello del mare circa. In inverno si raggiungono qui anche 20 gradi sotto zero ma se sei ben coperto non soffri molto perché è secco e non umido.

Lo spettacolo invernale della natura è incantevole, la neve raggiunge svariati metri di altezza, tutto intorno un paesaggio incontaminato e il silenzio è interrotto solamente dal passaggio dei veicoli e dei treni che si accingono ad attraversare la frontiera.

Ricordo che proprio alle spalle della nostra Caserma scorgevo dalle finestre della mia camera una cascata gelata riflettere in mille colori i raggi del sole.

Il Comando era una Compagnia di quasi 150 elementi la maggior parte non sposati questo perché il luogo era abbastanza disagiato per cui un militare sposato doveva affrontare notevoli sacrifici per poter svolgere il lavoro necessario in questo posto.

Il paese più vicino ove si potevano trovare i servizi più essenziali, quali la scuola, l'ospedale, ed altre amministrazioni pubbliche distava a circa sette o otto chilometri. Poteva essere facile in estate da questi luoghi raggiungere il Passo, ma in inverno era davvero problematico. Nevicava spesso e il fondo stradale la notte era quasi sempre sotto il gelo con grave pericolo per la percorribilità delle strade anche se periodicamente veniva gettato il sale per cercare di non fare gelare la strada.

Era il primo reparto che mi era stato assegnato dopo aver terminato i corsi di istruzione per conseguire lo stato di Sottufficiale.

Inizialmente non ero soddisfatto di questa sede, in quanto mi sentivo un po' defraudato e scontento di non essere stato mandato come molti altri miei colleghi a reparti operativamente ritenuti più interessanti sotto l'aspetto professionale ed ubicati in posti meno disagiati. Mi sarebbe piaciuto andare a fare servizio ai Nuclei che si trovano nelle principali città, come Milano, Bologna, Venezia, Roma. Ma essendo stato, nel primo anno di frequenza, alla Scuola Sottufficiali, poco diligente nello studio, non avevo raggiunto i posti della graduatoria necessari per meritarmi queste sedi.

Col passare del tempo, dopo i primi mesi di disagio ambientale sono riuscito ad instaurare un buon rapporto anche di amicizia con gli altri colleghi in considerazione anche del fatto che eravamo quasi tutti della stessa età sia i militari semplici che i graduati. E quando eravamo liberi dal servizio, dimenticando la gerarchia militare andavamo insieme a divertirci scendendo a valle, generalmente verso Colle Isarco, Vipiteno e se avevano più' tempo arrivavamo anche a Brunico in Val Pusteria.

Col tempo avevo imparato anche il segreto di espatriare in Austria ed arrivare alla vicina cittadina di Innsbruck, dove con mia grande meraviglia finalmente ero riuscito a scoprire i locali dove i colleghi più scaltri andavano a divertirsi a rischio di possibili sanzioni disciplinari, perché nel periodo di cui parlo era tassativamente proibito per noi come Corpo della Finanza espatriare legalmente a causa di non buoni rapporti col Paese confinante per via degli attentati terroristici che in quegli anni scuotevano la bilingue regione autonoma del Trentino Alto Adige. Ma questo potrebbe essere argomento di una altro episodio da raccontare.

I turni erano di sei ore intervallati da dodici ore di riposo, poi si riprendeva nuovamente. La rotazione era questa : 0-6,-18-24,12-18,6-12. Era duro lavorare in queste condizioni.

Ricordo comunque ancora volentieri il rituale che si compiva ad ogni turno di servizio.

Come giovane sottufficiale ero orgoglioso infatti di accompagnare il drappello di uomini che inquadrato militarmente e in bell'ordine partiva dalla Caserma, attraversava il paese per raggiungere il valico assottigliandosi mano a mano fino ad esaurirsi una volta che l'ultimo militare occupava il suo posto di servizio dando il cambio al collega per fine turno.

Due venivano lasciati al servizio di riscontro, due al valico ferroviario, due al valico in uscita dall'Italia e due al valico in entrata. Altri due rimanevano nell'ambito degli spazi della Dogana con il compito di ordinare e controllare il traffico degli automezzi pesanti che si avvicinavano al Passo e che dovevano necessariamente fermarsi per procedere alle operazioni doganali per poi attraversare la frontiera.

Il mio posto si trovava nei locali del “valico entrata” e per sei ore ero il responsabile della cosiddetta “Squadra Valico” a disposizione di qualsiasi evenienza. Ogni tanto infatti c'era sempre qualche problema da risolvere, controlli da effettuare ai veicoli alle persone, alle cose. Devo dire che non ci si annoiava proprio e poi era anche qui in questo posto di frontiera un lavoro interessante per la formazione professionale in materia soprattutto doganale, ma anche sotto altri aspetti considerato che la legge italiana concedeva al nostro Corpo innumerevoli facoltà con una larga autonomia operativa.

Il traffico pesante era notevole sia di giorno che notte e ci voleva abbastanza polso fermo per tenere in riga i camionisti che come ben si sa non hanno un carattere docile e alcuni in attesa del loro turno si ubriacavano per poi dare in escandescenze. Erano di diverse nazionalità.: polacchi, finlandesi, danesi, ma la maggior parte erano tedeschi.

La Germania infatti non era molto lontana dal Brennero, bastava attraversare l'Austria e subito si arrivava alla frontiera tedesca.

Quindi i militari addetti a questo incarico avevano molto lavoro da svolgere per tenere ordinato il piazzale doganale da eventuali scorribande e con il compito di incolonnare gli autocarri e fare attendere il loro turno per il disbrigo delle pratiche.

Quella notte, Il finanziere Amodeo, era uno di questi. Aveva il suo bel da fare spostandosi di continuo per cercare di calmare i più irrequieti, e i meno pazienti.

Parlando di lui ecco che mi balena nella mente, come se accadesse in questo momento, il dramma che si verificò quella notte.

Era un giovane finanziere di non ancora 22 anni, molto serio e scrupoloso nello svolgere il suo lavoro, rispettoso dei suoi superiori e non aveva mai dato adito a comportamenti scorretti o a gesti di insofferenza alla disciplina nonostante a volte potevano saltare i nervi avendo a che fare con gente come i camionisti insofferenti ai comandi e agli ordini che venivano a loro impartiti al fine di meglio organizzare il lavoro doganale. Ma con estrema fermezza e con senso del dovere riusciva a farsi rispettare da questa gente che ubbidivano di buon grado alle sue richieste di mettere il loro mezzo in colonna ed aspettare pazientemente il loro turno.


Ma ecco che ad un certo punto della notte accade quello che uno non si aspetterebbe mai. Non si sa bene per quale motivo un camioncino che si trovava in coda, abbastanza lontano dal piazzale, in attesa del proprio turno, in zona priva di illuminazione, di colpo, inspiegabilmente esce dalla colonna avviandosi a fari spenti ed a velocità sostenuta verso la Dogana. Nessuno dei due militari addetto al controllo lo aveva invitato ad uscire dal suo posto.

Amodeo infatti stava scendendo proprio verso quel luogo perché aveva notato una certa confusione quando questo veicolo lo investe in pieno.

La mattina successiva si vedrà la violenza dell'impatto lasciata sulla carrozzeria del mezzo, Una vistosa ammaccatura all'altezza della testa fa capire immediatamente cosa è successo durante la notte.

Amodeo viene investito dal camioncino e perde la vita sul colpo.

Si immagini lo sgomento di tutti noi nell'apprendere la notizia . Cosa si può dire? Un profondo malessere fisico e mentale indescrivibile ci pervase per molto tempo .

Un ragazzo di ventidue anni che si spegne in questo modo nell'adempimento del proprio dovere. In un attimo svanisce l'intero sogno di una vita. I progetti, le amicizie, gli affetti più' cari. Tutto rimane lì per terra accanto a lui.

La commozione che ti prende nel vedere il dolore dei suoi familiari giunti tempestivamente dalla lontana Calabria è immensa. Non è facile raccontare questi stati d'animo. La morte di un
congiunto, porta via una parte di te insieme a lui.

Ho sperimentato queste sensazioni in prima persona, sulla mia pelle, moltissimi anni dopo questo accadimento e assicuro che si muore un'altra volta insieme a colui il quale ci lascia per sempre. Ma questa è un'altra storia che se ne avrò la forza forse racconterò.