sabato 1 marzo 2008

Atto di umanità.

Questa storia è tratta dai miei ricordi oramai lontani nel tempo ma ancora vivi in me come se fossero accaduti di recente.

Tutto ebbe origine da un ordine di trasferimento temporaneo nel quale si diceva che dovevo raggiungere un reparto in un'altra località sempre a ridosso del confine Italo – Svizzero.

La motivazione esatta di questo mio movimento non l'ho mai saputa, ma con una certa dose di attendibilità, presumo che sia da attribuire ad una sorta di punizione.

Mi spiego.

Nel posto dove mi trovavo, che non consiglierei nemmeno al mio peggior nemico, prima di essere trasferito, prestavo unitamente a tutti i componenti il reparto, turni di servizio pesantissimi, ad ogni ora del giorno e della notte, dovevamo uscire in perlustrazione per il controllo del confine per reprimere eventuali reati di carattere fiscale e non.

Nonostante i notevoli disagi cui eravamo sottoposti, eravamo anche oggetto di continue ispezioni da parte degli ufficiali superiori. Durante una di queste azioni ispettive, si verificò un problema sulla localizzazione della pattuglia di cui facevo parte, in quanto nel posto e nell'ora che l'Ufficiale riteneva di trovarci, noi non c'eravamo. Mi furono chiesti chiarimenti scritti su questo episodio, che io giustificai cercando di spiegare che il mio incarico, quel giorno, secondo il mio punto di vista, era stato svolto correttamente rispettando gli orari e i percorsi indicati nell'ordine di servizio. Evidentemente le mie argomentazioni non convinsero molto, l'ufficiale, ma non avendo egli elementi sufficienti per infliggere delle sanzioni disciplinari si limitò ad emettere un ordine di trasferimento temporaneo con destinazione: “Bizzarone”, cioè un'altra località il cui territorio era sempre confinante con la Svizzera.

Non sto a descrivere nei minimi particolari la figura di questo ufficiale, ma un accenno sul suo comportamento lo devo fare.

Era considerato l'incubo dei reparti che visitava, effettuava continuamente ispezioni, giorno e notte e al solo sentire nominare il suo nome, il personale veniva preso dal panico. Era molto incline ad emettere provvedimenti disciplinari per quei militari che secondo la sua logica riteneva che non rispettassero sia i regolamenti che le consegne di servizio e quindi fioccavano le punizioni.

Questo era lo scotto da pagare per chi sfortunatamente, a quel tempo, ebbe assegnata la zona di confine tra l'Italia e la Svizzera. Considerata a rischio, sotto il profilo della illecita attività contrabbandiera era incessantemente monitorata dai comandi superiori in considerazione del fatto che il personale occupante le caserme era troppo giovane ed inesperto in quanto la quasi totalità proveniva direttamente dai reparti di istruzione. Tutta gente fortemente motivata, con una gran voglia di entrare in gioco e mettere in pratica tutte le nozioni apprese all'Istituto. Purtroppo un conto era la teoria altro era la pratica e quindi tutta questa gente giovane ed inesperta obbligata a svolgere incarichi molto delicati, con la possibilità non remota di trovarsi anche di fronte alla necessità di far uso delle armi in zona di vigilanza doganale aveva bisogno di essere controllata e seguita.

Per questi motivi tutta la zona era allertata, affinché non accadessero incresciosi episodi violenti, tra chi commetteva questi reati e i militari in servizio. Evidentemente non bastava essere animati da tanti buoni propositi e da tanto coraggio, ma ci voleva anche tanta esperienza che era quella che mancava ai tanti giovani che si trovavano a prestare servizio in quei luoghi.

Tornando quindi al mio trasferimento devo dire che questa cosa mi seccò molto, ho sempre avuto una avversione ad essere avvicendato, è una cosa che non sopportavo, eppure nel nostro ambiente era una prassi usuale, e non c'era verso di evitarlo. Era un'arma che i comandi usavano quando, dove e come volevano. Il povero malcapitato oggetto di questa attenzione, doveva in silenzio ubbidire e di buon grado apprestarsi ad effettuare il movimento. Fintanto che uno non era ammogliato, poteva anche andare bene, ma immaginate a quali disagi e complicazioni sarebbe andata incontro una famiglia intera, con figli in età scolastica o lavorativa. Eppure bisognava accettare pena il rischio di sanzioni o addirittura essere congedati e perdere il posto.

Comunque dovetti accettare mio malgrado l'ordine. Anche se il luogo che lasciavo era a dir poco pessimo, mi dispiaceva abbandonare i colleghi con i quali avevo familiarizzato. Sembra inverosimile, ma la solidarietà con la gente e l'amicizia, si ottiene sempre nelle condizioni più disagiate e il cameratismo si sente più forte. Anche se i contrasti tra di noi venivano alla luce, ma sostanzialmente ci rispettavamo e se potevamo ci aiutavamo uno con l'altro cercando di superare i molti momenti tristi della nostra vita in quel reparto. Tanto la speranza era che un giorno o l'altro saremmo stati avvicendati. Era previsto infatti che dopo aver compiuto un certo periodo di tempo a svolgere il servizio in quelle zone, o a domanda o d'ufficio potevamo essere trasferiti.

Bizzarone, dunque, questa località è situata nella provincia di Como al confine con la Svizzera, all'epoca aveva una circoscrizione molto ampia, bisognava controllare circa tre chilometri di rete di confine, aveva due valichi di frontiera, uno pedonale ed uno stradale. I servizi quindi erano abbastanza impegnativi.
Ai tempi in cui mi trovavo là, la zona era fortemente a rischio di traffici illeciti tra la Svizzera e L'Italia. Vi erano generi quali le sigarette, il caffè, la saccarina, gli orologi, l'oro, i diamanti ed altri prodotti sottoposti in Italia a regime di monopolio che in Svizzera era più conveniente acquistare ma per essere regolarizzati in Italia dovevano sottostare al pagamento di diritti doganali. Questa pratica generalmente non veniva adottata e sia la gente del luogo che altri si preferivano evitare questi obblighi importando clandestinamente la merce.

Per farlo, venivano escogitati tutti gli espedienti possibili ed immaginabili. Si attraversava il confine a piedi violando la protezione delle rete fiscale che lo Stato Italiano avevo posto per arginare il fenomeno, ma come deterrente non valeva molto.

Ad ogni ora del giorno e della notte, la frontiera veniva violata. Era una constatazione di fatto in quanto dalle perlustrazioni che venivano effettuate ci accorgevamo dei buchi alla rete che venivano praticati, e sapendo come queste cose, andavamo di pattuglia muniti di filo di ferro e tenaglie per cercare di riparare le maglie della rete bucata. Altri modi per importare merce nel nostro territorio erano quelli di attraversare i valichi di frontiera, occultando il carico negli autoveicoli, o qualsiasi altro mezzo di locomozione, oppure se si trattava di merce non molto voluminosa questa veniva nascosta anche addosso alla persona stessa. Quando avevamo sospetto che qualcuno, uomo o donna che fosse avesse addosso merce di contrabbando, questa veniva accompagnata nell'apposito locale dove veniva perquisita e molte volte l'esito era positivo.

I servizi erano alternati sia al valico pedonale che a quello autostradale più i pattugliamenti lungo la zona di confine dove stava la rete fiscale.

Nonostante la malinconia che mi aveva preso a causa del trasferimento di buon grado mi ero messo a fare il mio dovere anche in quel posto al punto che una sera mentre ero di servizio al valico stradale riesco, così ad intuito, ad individuare un comportamento anomalo di una persona che a piedi transitava dalla Svizzera all'Italia. Lo faccio accompagnare nella sala delle visite e qua emerge durante la perquisizione personale che aveva nascosto sotto la camicia un corpetto, ove era occultata della saccarina. Questo episodio mi fece ottenere le grazie del comandante del reparto additandomi ad esempio per tutti gli altri colleghi.

“Avete visto? Diceva:, “”neanche una settimana che si trova qua a fare servizio ed ha già' fatto un risultato, prendete esempio da lui e metteteci impegno quando andate al valico””. Io lusingato da questo trattamento, in tutto il periodo della mia permanenza nel reparto ho sempre cercato di non deludere le aspettative del comandante cercando di impegnarmi molto nello svolgimento dei miei compiti. A volte anche una semplice parola di elogio ti dà quel senso di gratificazione che ti aiuta a fare bene il proprio lavoro.

Il reparto era composto da una quindicina di militari la gran parte erano di origine sarda, Orrù, Macis, Piras, Madeddu ecc. Per scherzo veniva chiamata la “Brigata Sassari”, per via delle origini della quasi totalità dei componenti. Per chi non lo sapesse la Brigata Sassari è una formazione di fanteria dell'Esercito Italiano di stanza in una località della Regione Campania e quindi non ha nulla a che fare con il nostro reparto ma io ed altri, per scherzo e per battute, alla Brigata di Bizzarone le avevamo affibbiato quel soprannome.

Questi Sardi tra di loro erano molto uniti. Io li rispettavo e loro rispettavano me. L'uomo sardo è un tipo che se ti diventa amico è amico vero. Hanno uno spiccato senso dell'amicizia, del dovere, e dell'onore ma guai a non essere leale nel comportamento nei loro confronti, allora ti trovi di fronte il peggior nemico. Comunque non ho avuto problemi ad essere accettato come nuovo componente del reparto anche se non facevo parte della loro Regione. Nei loro riguardi non ho mai avuto problemi, probabilmente ero entrato nelle loro simpatie e tutto procedeva regolarmente.

I turni di servizio si avvicendavano con regolarità, perlustrazioni lungo la rete di confine, servizio al valico pedonale e stradale. Il paese offriva poche distrazioni, e ai tempi vigeva la regola, un po' anacronistica, che ci imponeva di non familiarizzare con le gente del luogo per evitare di essere oggetto di corruzione a causa dell'attività di contrabbando che alimentava quei luoghi di confine. Perciò quei pochi momenti liberi che avevamo dovevamo prendere l'autobus e spostarci in altre località. La città più vicina era Como e quindi per avere un po' di distrazione, ci dovevamo recare là.

Una sera, d'inverno, accadde un episodio curioso, mentre eravamo in attesa di uscire di pattuglia, la stufa a legna era accesa, e qualcuno tagliava fette di pane che faceva abbrustolire sulla piastra, poi con un poco di formaggio sardo e olio d'oliva spalmato sopra, le gustavamo chiacchierando del più e del meno in attesa dell'orario di uscita per intraprendere il servizio. Ad un certo punto sbuca da non so dove un topolino, che forse attirato dall'odore del formaggio si era messo a passeggiare per la stanza. Uno di questi colleghi sardi appena vide il topolino gli lanciò contro il coltello che aveva in mano. Fatalmente l'utensile andò a conficcarsi proprio con la punta, sulla parete di legno a pochi centimetri dal topolino. Sbigottiti ci siamo guardanti in faccia e ci siamo messi tutti a ridere, per quella azione, nemmeno al cinema si vedono queste cose riuscire così bene. Divertiti chiedemmo all'autore di questa azione se per caso lui prima di essere arruolato era stato lanciatore di coltelli vista l'abilità che aveva dimostrato nel maneggiare quell'aggeggio.

Lui logicamente rispose di no dicendo che era stato un puro caso che si fosse conficcato in quel modo a pochi centimetri dal topolino che impaurito subito scomparve.

Dopo questo simpatico episodio, era giunta l'ora di intraprendere i servizi cui eravamo demandati, chi doveva andare al valico pedonale, chi a quello stradale, io quella notte dovevo uscire di pattuglia con un collega, sardo logicamente, a perlustrare la rete di confine e reprimere eventuali azioni di contrabbando.

Nonostante io ero ancora nuovo del posto, il collega mi dice:

“”Se vogliamo riuscire a fare qualche risultato di servizio, ovvero se vogliamo sequestrare qualche “bricolla” di sigarette, questa notte ci dobbiamo separare, tu ti fermi in questa posizione io vado più avanti...Se vedi qualcosa di anomalo in qualche modo dammi qualche segnale, io farò altrettanto. Quando scadrà il turno ritorna per la strada che abbiamo fatto e ci incontriamo all'incrocio di quel sentiero”” Dandomi l'indicazione e il nome di quel posto che si trovava nei pressi del reparto.

Io non avevo altra scelta e per dimostrare a lui che non avevo alcun timore a rimanere da solo, di notte, in mezzo ad un bosco, che non conoscevo, ho accettato questa situazione. Anche se devo dire che una certa apprensione l'avevo. Nonostante fossimo armati di moschetto e pistola d'ordinanza, il rischio e l'imprevisto era sempre in agguato.

Così, quella notte trascorsi tutto il turno di servizio, sdraiato per terra, dentro il sacco a pelo, e ad ogni rumore sospetto tendevo le orecchie e aguzzavo la vista per individuare se erano persone o animali notturni che si muovevano nel bosco.

Allo scadere del turno, arrotolo il sacco a pelo, prendo il moschetto e comincio a riprendere la strada di ritorno, cercando di ricordare da quale parte ero venuto, perché niente di più facile era perdersi di notte nel bosco e non avendo apparati radio con noi con cui comunicare la posizione diventava problematico il rientro a meno di non aspettare che facesse giorno.

Io nonostante questi pensieri, mi metto in cammino, quando ad un certo punto del sentiero, vedo una massa scura per terra a pochi metri da me. Un brivido mi corre lungo la schiena, ancora non riuscivo a distinguere bene cosa poteva essere. Penso, magari è qualche contrabbandiere. Lentamente mi avvicino, e con mio grande stupore vedo che per terra c'era un uomo, che si lamentava, mi chino su di lui, e faccio per chiedergli qualcosa, chi fosse a da dove venisse, ma subito capisco dall'odore del suo alito che era una persona ubriaca che molto probabilmente era stata colta da malore e si era persa nel bosco.

In qualche modo riesco a farlo alzare, e a farlo appoggiare su di me. Lui mi dice balbettando che si era sentito male, ed era caduto per terra e non sapeva da quanto tempo si trovava in quella situazione. Al che io gli chiedo se si ricordava dove abitasse che lo avrei accompagnato fino a casa sua. In qualche modo riuscì a spiegarmi la direzione da prendere per arrivare alla sua abitazione e quindi piano piano ci siamo incamminati.

Già' stava albeggiando quando giungemmo a destinazione, busso alla porta, si affaccia qualcuno e io chiedo se conoscono la persona che sta con me, che ho trovato disteso per terra lì nel bosco. Qualcuno dice: “” Si è nostro padre, ed eravamo proprio preoccupati della sua scomparsa.”” Bene dico io: “”Ora è qua sano e salvo.”” Metto nelle loro mani questa persona che felici di aver ritrovato il loro familiare immediatamente la fanno entrare in casa. Talmente la preoccupazione e la felicità di averlo ritrovato che chiudono la porta dietro di loro, lasciandomi lì davanti come una statua. Beh! Ho pensato tra me, almeno un ringraziamento avrebbero potuto darlo, d'accordo che in queste zone noi finanzieri non siamo ben visti per via dei controlli che facciamo, ma almeno un segno di riconoscimento...che diamine..!!!

Con questi pensieri, riprendo la via del ritorno anche per andare incontro al collega che già mi aspettava al punto prestabilito per rientrare al Reparto.

Racconto a lui dell'accaduto e anche lui amaramente commenta,:”” non te la prendere, sai come è la situazione in questi posti, la gente non ci vede di buon occhio per via della nostra attività, qui è gente che vive del contrabbando e noi non siamo ben accettati.””

Un poco rincuorato dalle parole del collega, accetto la situazione e il mio pensiero principale del momento è quello di depositare il sacco a pelo, e il moschetto e andare a riposare. La notte è stata lunga e stressante, francamente avevo un poco di stanchezza, non vedevo l'ora di andare a dormire.

Alzatomi dopo aver riposato le giuste ore mi accingevo per andare a pranzare, quanto un collega mi chiama e mi dice, che devo andare nella sala che ci sono due persone che mi cercano.
Indovinate che erano? Si era proprio la persona che avevo accompagnato a casa durante la notte e in sua compagnia c'era anche uno dei suoi figli che volevano ringraziarmi per il gesto compiuto nei confronti del papà e si scusavano se in quel momento non avevano dato a me attenzione, ma erano così frastornati e felici di aver ritrovato il familiare che non avevano pensato a me. Per disobbligarsi pertanto il figlio cerca di consegnarmi un busta con del denaro dentro. Al che io rifiuto immediatamente l'offerta, dicendo che non avevo fatto altro che il mio dovere di pubblico ufficiale e di cittadino. A me non spettava alcuna ricompensa io avevo solamente compiuto un “atto di umanità” che qualsiasi persona avrebbe fatto trovandosi nella mia situazione. Il figlio accettando la mia volontà rimette via la busta ma mi stringe calorosamente la mano e commosso mi ringrazia ancora. Lo stesso fa il padre e mi fa una promessa dicendomi che l'esperienza è stata davvero brutta e che in futuro cercherà di non alzare il gomito per ubriacarsi.

La mia permanenza a Bizzarone è stata breve, infatti dopo poco tempo mi arriva un altro ordine di rientro per la Brigata di Cavallasca/Colombirolino, da dove ero partito. Non ho gridato di gioia, né

di andare via da Bizzarone né di ritornare a Colombirolino.

I servizi erano ugualmente gravosi in entrambe le parti. L'unica consolazione era che tornavo dai miei compagni di sventura anche se con i ragazzi sardi avevo fatto amicizia e a loro dispiacque che me ne andassi via, come pure al comandante ma gli ordini bisognava eseguirli.


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