venerdì 8 febbraio 2008

Il contrabbandiere si dà alla fuga


Un giorno navigando per la Rete, qualcuno mi ha fatto memoria di un bellissimo posto in cui ho passato un breve ma intenso periodo della mia vita facendomi decidere di scrivere queste righe in omaggio a questa stupenda località. Ma andiamo con ordine.

Ho trascorso circa tre anni di rischioso, gravoso, allucinante servizio in un posto terribile sotto ogni aspetto. L'ambiente operativo era molto ostile e la dislocazione logistica, impossibile. I componenti del reparto, una ventina circa erano stipati in sole due camerate e si dormiva in letti a castello. I locali erano veramente orrendi, il pavimento era composto da fatiscenti assi in legno. Secondo le regole imposte dal regolamento, dovevamo a turno pulire questi ambienti e ogni volta dovevamo bagnare il pavimento con l'acqua per raccogliere poi con la scopa la polvere che si accumulava e si annidava in forma di lanugine tra le fessure degli assi del pavimento. Non avevamo armadi per appendere i nostri abiti, ognuno doveva preoccuparsi di acquistare a proprie spese sacchi di plastica per appendere le nostre divise e gli abiti civili. In inverno per riscaldarci avevano a disposizione solo un piccola stufa a gas che doveva bastare per tutto l'ambiente in cui dormivamo. Eppure nonostante tutte queste disfunzioni, facevamo il nostro dovere, impegnati in diuturni e impegnativi servizi a difesa della frontiera reprimendo operazioni di contrabbando tra la Svizzera e l'Italia. Come prima esperienza di reparto certo non fu esaltante, a tal punto che pensai che se la vita di tutti i reparti del Corpo fosse stata sempre così, dopo aver fatto il periodo minimo di ferma di tre anni mi sarei congedato.

Ma non è di questo che voglio narrare in questo mio scritto ma della nuova sede che mi era stata assegnata in una ridente cittadina del lago di Como. Su questa mia nuova destinazione devo molto anche all'aiuto mio padre.

Dopo una sua visita compiuta in quel luogo così disastrato e constatato il disagio da me patito si rese conto che era necessario intervenire presso le sedi opportune e far valere, al posto mio, il sacrosanto diritto ad essere avvicendato. Se la memoria non mi inganna era previsto infatti che dopo un periodo, di circa 9 mesi di permanenza in zone così disagiate, avevamo la possibilità di essere assegnati in sedi meno impegnative sia sotto l'aspetto del servizio che sotto l'aspetto ambientale. Invece io mi trovano là da quasi tre anni, non ho voluto mai far valere quello che mi spettava, sembrava proprio che avessero smarrito la mia matricola e si fossero dimenticati di trasferirmi. Mio padre invece si prodigò per me e come per magia, dopo circa una quindicina di giorni dal suo interessamento, mi arriva un bello ”ordine di trasferimento” nel quale mi veniva assegnato come reparto una caserma situata nella ridente cittadina di Bellagio soprannominata la “Perla del Lago di Como”.


Bellagio - La Perla del Lago di Como

Questa è una località stupenda che fa da spartiacque tra il ramo di Lecco e quello di Como del lago omonimo. Centro turistico di prim'ordine frequentato specialmente in estate da molti turisti stranieri e non. Con le sue ville i suoi palazzi e i suoi alberghi. Un luogo davvero incantevole dove poter trascorrere una bella vacanza ed a maggior ragione, svolgere il mio lavoro con molta meno apprensione.

Il paesaggio è affascinante, non ti stancheresti mai di ammirarlo, l'azzurro del cielo e quello del lago e lo sfondo delle montagne, innevate per la maggior parte dell'anno rendono il posto una favola. Nel periodo di aprile-maggio tutt'intorno è un tripudio di colori, la fioritura delle azalee ricopre il paese di stupende tonalità.


Fioritura delle Azalee.

Dalla parte ovest e cioè dal ramo del lago di Como, esiste un molo d'imbarco del traghetto che ti porta alla sponda opposta e di fronte si vede ad occhio nudo la cittadina di Menaggio e dietro le sue montagne già si prefigura il confine con la Svizzera. Dal ramo di Lecco altri paesini, descritti stupendamente da Alessandro Manzoni nel suo romanzo capolavoro "I Promessi Sposi", costeggiano la costa.

In questa mia nuova assegnazione quindi mi attendevano incarichi di servizio ugualmente importanti ma svolti con più serenità, confortato anche dal bell'ambiente che mi circondava mi accingevo a cambiare sede molto volentieri suscitando anche l'invidia dei mie colleghi, in quanto la località era molto apprezzata sia dal punto di vista lavorativo che ambientale. La gente locale era molto cordiale e disponibile.

Ricordo ancora perfettamente il giorno che lasciai il vecchio reparto, salutando con una punta di malinconia i colleghi con i quali avevo condiviso con loro anche momenti belli nonostante le condizioni veramente pessime in cui dovevamo operare. Sembra proprio che più si vive male più si riesce a legare in amicizia e solidarietà con le persone con le quali quotidianamente sei in contatto e che fanno il tuo stesso lavoro.

Nel tragitto che mi portava al nuovo reparto dovevo passare per la città di Como, lì cambiare autobus e prendere la linea che mi avrebbe condotto direttamente a destino. La strada che si dipana da Como a Bellagio mostra un paesaggio da sogno, nelle belle giornate si vede l'azzurro del cielo che si fonde con quello del lago, il verde dei boschi, l'acqua dei ruscelli, tutt'intorno bianche ville sparse sui pendii.

All'epoca qualche sigaretta la fumavo, ne accesi una e mentre ammiravo il panorama il mio pensiero si focalizzava al fatto di quanto ero stato fortunato nell'aver lasciato alle mie spalle, un periodo della mia vita abbastanza triste.

Al mio arrivo a destinazione sono stato messo subito a mio agio, il comandante era una persona magnifica, disponibile in tutto, i nuovi colleghi anche e mi accolsero molto benevolmente, chiedendomi il mio reparto di provenienza. Quando io dissi da dove venivo, fecero una smorfia di disgusto, conoscendo appunto il luogo e mi confortavano dicendomi che a Bellagio era tutta un'altra cosa e che presto avrei dimenticato quei luoghi così tristi.

La mia sistemazione in questo nuovo posto era più che dignitosa, mi assegnarono in una cameretta a due posti letto, quindi ero in compagnia solamente con un altro collega. Ognuno di noi aveva l'armadio personale dove finalmente potevo appendere i miei abiti. L'organico non superava mai le 4 o 5 unità. Il comandante e un altro collega sposato alloggiavano fuori dalla caserma. Era come trovarsi in famiglia, e tra di noi, si era instaurato un buon rapporto di amicizia e confidenzialità. Io ero molto felice di questa situazione.

Nei momenti di libertà dal servizio, ci trovavamo, specialmente nel periodo estivo un paese turistico da assaporare, i divertimenti non mancavano, il lido, le sale da ballo, le turiste e alla bella età di anni venti, queste cose non dispiacevano davvero. Un sola cosa che poteva essere negativa era quella che con tutte queste distrazioni che si presentavano non riuscivo ad arrivare a fine mese con il mio stipendio a differenza di dove mi trovavo in precedenza dove invece potevo risparmiare qualcosa da mandare anche a casa sotto forma di bollettini postali, che la mia famiglia meticolosamente metteva da parte per farmi trovare un bel gruzzoletto al mio ritorno.

La vita di reparto in sintesi era scandita principalmente dalle seguenti attività: a turno per una settimana intera eravamo comandati al servizio di "casermiere", che consisteva nell'essere impiegato giorno e notte in mansioni quali far da mangiare a tutti i componenti.

In quell'epoca non era previsto che nelle nostre caserme i civili si occupassero del vitto per noi e quindi dovevamo provvedere in proprio. Ma era anche piacevole al mattino uscire e andare in paese, come una brava donna di casa , con la nota delle cose da comprare, fermarsi un attimo al bar, prendere un caffè, scambiare quattro chiacchiere con le persone del luogo e commentare sul fatto che noi finanzieri dovevamo in proprio preoccuparci di confezionare il vitto per tutti quelli che erano alloggiati in caserma. La gente mi chiedeva, cosa avrei preparato di buono per tutti i commensali. A dir il vero, io mi arrangiavo a malapena a far da mangiare, ma guardando gli altri colleghi più esperti, qualcosa ero riuscito ad apprendere anch'io, per lo meno non fare il cibo salato o bruciato. Bisognava avere anche fantasia e pensare a cosa avrei potuto fare che fosse di gradimento per tutti. Alcuni erano anche esigenti, altri meno, ma questa mansione che sembrava di poco conto o non proprio esaltante sotto un certo aspetto, incideva notevolmente come incarico;

Unitamente alla cucina bisognava anche svolgere il servizio di piantone. Questo significava che ogni ora dalle otto del mattino alle otto di sera si dovevano effettuare collegamenti radio con la "capomaglia", che si trovava nella sede di Menaggio sull'altra sponda del lago, del ramo di Como. Ricevere e trasmettere fonogrammi in chiaro e cifrati. Aprire la porta principale ad ogni persona che entrava nella caserma e rispondere al telefono. Insomma quello che potrebbe definirsi nell'ambiente civile la mansione di "usciere". Effettuare il controllo stradale per reprimere eventuali violazioni al codice della strada e svolgere il controllo fiscale a tutte le attività economico commerciali sotto la nostra giurisdizione.

Non c'era proprio di che annoiarsi, ma l'attività maggiormente interessante era il contrasto al contrabbando di sigarette che svolgevamo periodicamente con turni di servizio nell'intera circoscrizione del reparto che abbracciava diversi paesi del circondario di Bellagio.



Proprio su questo ultimo servizio mi soffermo per narrare un episodio accadutomi.

Il territorio di Bellagio era un crocevia di traffico per quel genere di illecita attività che si svolgeva tra la Svizzera e l'Italia. Ad ovest, al di là della sponda del ramo del lago di Como, dietro le montagne troviamo subito il confine svizzero. Da questi luoghi partivano i carichi di sigarette per raggiungere, dopo aver attraversato il lago, le zone limitrofe della cittadina. Qui la merce illecita veniva nuovamente ricaricata in autoveicoli opportunamente predisposti i quali velocemente prendevano la via delle più importanti città per essere smerciata clandestinamente.

Bene, una sera ero libero dal servizio e mi trovavo a bighellonare insieme al collega Calogero (nome questo di fantasia per rispetto della sua privacy) a bordo della sua nuova e fiammante "Fiat 500", all'epoca era già un lusso possederne una. Ci chiedevamo cosa fare e dove trascorrere queste ore che avevamo a disposizione. Quando eravamo liberi dal servizio uscivamo spesso insieme.

Lui era un ragazzo di origine siciliana che a dire il vero non brillava tanto per coraggio ed iniziativa, minuto nel fisico e con pochi capelli in testa ed a volte con quella sua vocina con timbro più femminile che maschile era anche noioso e petulante, tuttavia gli piaceva la "gonnella" ma era talmente timido che cercava in me sempre un punto d'appoggio, ehehe. Non è che io brillassi molto in fatto di conquiste femminili ma comunque lui quando era libero sempre chiedeva la mia compagnia per andare a divertirci insieme. Era anche molto superstizioso, al punto di fermare la sua auto all'apparire di un gatto nero da qualsiasi lato gli attraversasse la strada. Immediatamente lui si fermava e tornava indietro, inutili i miei tentativi di convincerlo a desistere dalla sua volontà tentando di spiegargli che un semplice ed inoffensivo gatto non poteva pregiudicare il suo destino. Ma lui non sentiva ragioni di alcun genere, girava la macchina e tornava indietro.

Comunque tutto sommato uscivo abbastanza volentieri e la sua compagnia non mi disturbava, anzi ascoltavo volentieri le sue immancabili battute in siciliano e mi divertiva la sua bramosia di conoscere ragazze. Così tra una battuta sua e uno sfottò mio passavamo la serata.

I nostri colleghi più anziani e smaliziati ci prendevano spesso io giro per la nostra goffaggine nel relazionarci con le ragazze. Ci facevano rimanere a bocca aperta a sentir narrare le loro avventure amorose e le conquiste che facevano ogni volta che uscivano, Hum!! Io credo che bluffassero, ma restavamo ugualmente incantati sia io che Calogero ai racconti di questi Don Giovanni. In effetti Bellagio era un posto in cui non era difficile come si dice in gergo "rimorchiare", cioè fare amicizia con l'altro sesso e specialmente con le turiste straniere, tedesche, olandesi, inglesi, francesi, c'è n'erano per tutti i gusti... ehehe!!!

Bene fatte queste premesse, anche quella sera mentre passeggiavamo in auto, ad un certo punto, gli si para davanti un gatto nero e lui, come di consueto si apprestava a fare la solita manovra di ritorno sui propri passi quando incrociammo una automobile che ci apparve immediatamente come una di quelle adibite al trasporto delle sigarette di contrabbando, condotta da un individuo di nostra conoscenza soprannominato "Faina" (nome di fantasia per dovere di privacy, anche se sono trascorsi oramai tantissimi anni da quell'episodio) la cui attività era quella di guidare autovetture cariche di sigarette di contrabbando.

Mi rivolgo al collega dicendogli: "Calogero hai visto chi è passato? Sicuramente è il Faina e la macchina mi sembra proprio carica."

Questi autoveicoli erano predisposti per non far apparire esternamente cosa contenessero. Avevano sospensioni rinforzate, all'interno dell'abitacolo non esistevano i sedili per i viaggiatori, erano stati tolti in funzione di quello che dovevano trasportare. Esisteva solo il sedile del conducente e i sacchi di sigarette erano stipati fino al livello dei finestrini per non dare nell'occhio. Anche il baule ne era pieno. Uno che guardava da fuori non vedeva nulla.

Noi comunque ci eravamo abituati a capire queste situazioni, e visto il personaggio, la strada che percorreva, l'orario, l'automobile tipica per quei trasporti, ci convincemmo che era proprio un carico di sigarette di contrabbando che stava prendendo la via di Milano o qualche altra località di smercio.

Calogero risponde: "Porca miseria è proprio il Faina e sono convinto che la macchina è stracarica di sigarette."

Gli dico: "Dai inseguiamolo e fermiamolo, vedrai che questa volta lo fottiamo... hi"

Lui anche se non era un campione di coraggio e anche molto superstizioso, si convince ad effettuare l'inseguimento e gira il veicolo per tornare indietro, la strada era abbastanza stretta, lui mi dice: "Prendi la paletta e vediamo di bloccarlo non appena riesco a superarlo."

Generalmente anche le auto private erano dotate della cosiddetta "paletta" che serviva per intimare l'Alt, alle autovetture quando facevamo il controllo sull'osservanza delle norme del Codice Stradale, inoltre anche se eravamo liberi dal servizio, dovevamo portare sempre con noi la pistola d'ordinanza.

Teoricamente essere liberi dal servizio non era esatto, poiché il nostro regolamento ci obbligava ad essere sempre in servizio 24 ore al giorno con obbligo di intervento di fronte ad atti illeciti perseguibili a termini di legge.

Detto questo, Calogero si accoda alla macchina del Faina, che fino a quel momento ancora non si era accorto di nulla ed al primo momento favorevole lo sorpassa. Io metto il braccio fuori dal finestrino e con la paletta gli intimo l'Alt. La macchina si ferma, anche noi ci fermiamo, Calogero rimane a bordo della sua cinquecento. Io scendo e mi avvicino lentamente, al veicolo e faccio per intimare al Faina di scendere.

L'adrenalina era salita al massimo, sia Calogero che io, eravamo tesi come due corde di chitarra. Questi tipi di interventi sono abbastanza complicati nel loro svolgimento e non sempre vanno a buon fine, invece di farsi prendere dall'agitazione che attanaglia in quei momenti, bisognerebbe avere calma e sangue freddo. Ma non sempre è così. Normalmente i soggetti che compivano questi viaggi con gli autoveicoli non erano aggressivi, solitamente se potevano si davano alla fuga, abbandonando il carico illecito, non reagivano, ma l'imprevedibile era sempre in agguato e bisognava stare con gli occhi bene aperti.

Ero arrivato ormai all'altezza dello sportello del lato guidatore e mentre cercavo di ordinargli di scendere dal veicolo improvvisamente. Il Faina, riconoscendomi, innesta rapidamente la retromarcia e sgommando si allontana rapidamente percorrendo quasi un centinaio di metri all'indietro, poi trovato uno spazio abbastanza largo gira la macchina e si allontana velocemente. Io faccio per inseguirlo a piedi, ma vista l'impossibilità di raggiungerlo e preso dalla rabbia, metto mano alla pistola d'ordinanza, una Beretta calibro 9 ed esplodo due colpi in aria. Chissà cosa volevo ottenere con quel gesto. Col cavolo che il Faina si è fermato, nonostante il mio intervento. Tutto si è svolto in un attimo, ed in un attimo tutto è svanito, ma io resto pietrificato, e mi sembra di stare lì da un'eternità rimuginando su quanto accaduto e sul fatto di non essere stato capace di effettuare il fermo.

Nel frattempo si avvicina Calogero, il quale anche lui sconsolato e con una tipica battuta siciliana, esclama: "Minchia, eravamo partiti per fotterlo, invece lui ha fottuto noi."

Per alcuni minuti restiamo senza parole, poi mestamente entriamo nella cinquecento e ce ne torniamo in Caserma a stendere un rapporto su quanto accaduto.

Avevamo anche una certa apprensione, di qualche risvolto disciplinare, in quanto io avevo fatto un uso delle armi alquanto improprio.

Comunque passano i giorni ed ancora non ho notizie spiacevoli nei mie confronti in fatto di provvedimenti disciplinari. Ma un giorno, in occasione dell'ispezione periodica al nostro reparto effettuata dal comandante della compagnia di Menaggio, durante il pranzo esordisce verso di me dicendo: "Mi è giunta voce che qualche giorno fa vi è sfuggita un' autovettura carica di sigarette di contrabbando e che tu hai estratto la pistola ed hai esploso dei colpi in direzione della vettura colpendo il fondo della stessa."

Al che io mi sono risentito e mi sono difeso giustificandomi dicendo : "Si, ho sparato, ma i colpi sono stati esplosi in aria e mai addosso a nessuno le notizie che le hanno riferito sono prive di fondamento e non sono veritiere."

Chissà perché le informazioni che viaggiano di bocca in bocca poi sono sempre distorte e non corrispondono alla realtà dei fatti accaduti. Evidentemente c'è sempre qualcuno che vuole farti del male.

Per fortuna l'ufficiale credette alle mie parole e nessuna azione disciplinare fu presa nei miei confronti.

Questo per me è stato un grande insegnamento in altre occasioni simili mi sono guardato bene dall'estrarre l'arma e sparare. Ho preferito piuttosto lasciar perdere il carico di contrabbando per l'impossibilità di fermarlo con i mezzi normali di cui disponevamo. Quindi per evitare queste spiacevoli occasioni, mi sono guardato bene di ripetere l'errore di estrarre l'arma ed esplodere dei colpi così solamente a scopo intimidatorio.

Dopo quell'increscioso episodio altre volte mi sono trovato ad effettuare fermi di autovetture cariche di T.L.E. (Tabacco Lavorato Estero), ma io non ho più fatto uso delle armi. La lezione mi era ben servita. Utilizzavamo altri mezzi di contrasto che il regolamento ci imponeva di adottare e tutto andò per il meglio. Spesse volte si usciva per questi servizi con le automobili private, per chi le possedeva, proprio per non essere riconosciuti. Il collega Cirillo (altro nome di fantasia), aveva rimesso in sesto una vecchia topolino (vedi foto) che molto spesso veniva adibita per azioni di contrasto. Se le auto cariche di T.L.E. non si fermavano al posto di blocco, noi comunicavamo via radio agli altri colleghi situati qualche centinaio di metri più avanti in modo che avevano il tempo di gettare attraverso la strada la "Catena Chiodata" (strumento legale e approvato dalla legge per azioni di contrasto specialmente in materia di contrabbando di T.L.E. ), così che l'auto quando passava sopra, bucava tutte le gomme ed era costretta a fermarsi.

La mia vita al reparto quindi era scandita da queste attività e procedeva regolarmente fino al giorno in cui ricevetti l'ordine che dovevo lasciare Bellagio per raggiungere la Scuola Sottufficiali. Nel pur breve, ma intenso periodo di mia permanenza in quello splendido posto, ero riuscito a fare due cose importanti per il prosieguo del mio cammino di vita. Prendere la patente di guida e vincere il concorso per la Scuola. Non faccio per vantarmi, ma avevo conseguito ex-equo con un altro collega il punteggio più alto nello svolgimento della prova scritta di italiano di tutta la Legione di Como.

Così con mio grande rammarico arrivò il giorno del mio commiato da Bellagio, ripromettendomi tuttavia, non appena possibile di ritornarci, come in effetti ho fatto. Ancora adesso infatti, quando posso riesco a fare una capatina e rivedere quel luogo bellissimo che sempre ricordo con una punta di dolce nostalgia.

In onore di questi luoghi incantevoli cito a braccio un passo del Manzoni, chiedendogli perdono se le parole non sono proprio esatte come lui le ha immortalate nella sua opera.

"Addio monti sorgenti, dalle acque ed elevati al cielo, cime ineguali, note a chi è cresciuto tra voi ed impresse nella sua mente non meno che lo sia l'aspetto dei suoi più familiari torrenti. Ville sparse biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti. Addio. Quanto è triste il passo di chi è cresciuto tra voi se ne allontana, tratto dalla fantasia di fare altrove fortuna..."

Al prossimo racconto...

I colleghi di Bellagio e Calogero.

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